Nonno Shmuel per salvarsi si aggrappa al cavillo

La linea della difesa: nessun giudice ha mai notificato il divieto di espatrio per Eitan

Nonno Shmuel per salvarsi si aggrappa al cavillo

Si aggrappa a un dettaglio formale, un documento che proverebbe che non gli è mai stato notificato il divieto di portare Eitan fuori dall'Italia. Il nonno del sopravvissuto del Mottarone attraverso i suoi legali italiani fa circolare un provvedimento del giudice tutelare che a partire dal 10 agosto lo estrometteva completamente dalla gestione del ragazzino: ragione per cui anche il divieto di espatrio, disposto pochi giorni dopo, sarebbe stato reso noto dal giudice solo alla zia materna, Aya, e non al nonno Shmuel Peleg.

Basta questo per credere che davvero Peleg non sapesse che Eitan non poteva lasciare l'Italia? Ovviamente no, e proprio le modalità quasi da rendition con cui l'uomo ha prelevato il nipote e lo ha portato in Israele dimostrano che era consapevole di compiere un'azione illegale. E d'altronde anche uno dei suoi difensori, Paolo Sevesi, ammette che Peleg si è fatto guidare «più dall'istinto che dal diritto»: «Quando si è in situazioni estreme, il codice non lo si tiene in mano, si va a istinto».

E che, dal punto di vista del nonno, la situazione fosse «estrema» lo dimostra proprio il documento che estromette Peleg dalla vicenda. Il 10 agosto il giudice tutelare Michela Fenucci respinge una dopo l'altra tutte le istanze presentate dall'uomo: «rigetta la richiesta di concessione di termini a difesa», «rigetta la richiesta di revoca del tutore», ovvero la zia, «rigetta la richiesta di nomina a pro-tutore di Shmuel Peleg»: una richiesta, quest'ultima, che avrebbe consentito al nonno almeno di affiancare la zia nella gestione di Eitan. E, soprattutto, il giudice «rimette al tutore ogni decisione sulle modalità di frequentazione dei parenti materni con il minore Eitan Moshe Biran». In pratica, da quel momento è la zia a poter decidere liberamente dei contatti tra il piccolo e i nonni. La sensazione del nonno è che la giustizia italiana si sia schierata da una parte sola, quella della famiglia del padre di Eitan.

É davanti a questo muro, spiega l'avvocato, che Peleg si lascia andare a un «gesto brutto, non giustificabile ma umanamente comprensibile». Il problema, adesso, è proprio che il gesto non è «giustificabile», anzi per la Procura di Pavia costituisce il reato di sequestro di persona. Ed è con questa accusa che Peleg ora si trova a fare i conti, in un groviglio dove le inchieste giudiziarie aperte contro di lui sia in Italia che in Israele si incrociano con le iniziative della Convenzione dell'Aja, i cui uffici a Tel Aviv dovrebbero ricevere la richiesta di intervento da parte della tutrice del minore. E proprio questo, almeno sulla carta, sembra per ora il canale che più rapidamente potrebbe riportare Eitan in Italia.

Ieri sera infatti l'ambasciatore israeliano in Italia, Dror Eydar, a spiegato a Porta a Porta che il governo di Gerusalemme intende affrontare il caso «in base alle convenzioni internazionali pertinenti, inclusa la Convenzione dell'Aja». E in questo caso, essendo stato il prelievo illegittimo, la Convenzione prevede la restituzione di Eitan alla zia.

Ma Peleg non sembra disposto a mollare così in fretta, nonostante i provvedimenti assunti contro di lui sia

dalla magistratura israeliana che dalla Procura di Pavia (ieri sera persino circolata l'ipotesi di una richiesta di estradizione o di un mandato di cattura internazionale). Adesso Eitan è con lui, e potrebbe restarci a lungo.

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