Matteo Salvini si muove a passi felpati, anzi felpatissimi, sembra quasi il suo vice Giancarlo Giorgetti, e dietro questa rivoluzione comunicativa c'è una strategia politica chiara, chiesta e quasi pretesa dalla base elettorale assetata di crescita e dai vertici politici del più pragmatico Nord produttivo, entusiasta di un premier come Draghi.
Un altro movente fortissimo è l'Europa della «maggioranza Ursula» (von der Leyen), che ha isolato la Lega tra le forze politiche del sovranismo europeo da bandire da tutti i giochi, ben lontana dalle scelte che contano, siano esse nomine o più rilevanti decisioni politiche di portata internazionale. La scelta di Bruxelles di tarpare le ali ai sovranisti ha anche un nome: cordone sanitario.
Draghi può consegnare alla Lega le chiavi per provare a riattraversare quel cordone e Salvini, convinto che il primo governo Conte sia caduto anche per una precisa volontà europea di farlo fuori, ha ben chiaro in testa questo concetto. Da qui il nuovo profilo istituzionale europeo, filoatlantico e quasi democristiano, anzi «doroteo».
Quanto durerà Draghi? «Non possiamo indicare la data di scadenza, ma un governo di ricostruzione e rinascita non può andare avanti all'infinito» dice il segretario della Lega al Caffè della domenica di Radio24. Cita Badoglio e De Gasperi, poi «il governo Parri nato nel giugno 1945» (che è rimasto in carica per 172 giorni). Il programma del «governo d'emergenza» tratteggiato da Salvini non è però compatibile con una brevissima durata: Recovery, piano vaccinale, piano fiscale, riapertura di scuole, università e attività chiuse, taglio delle tasse e della burocrazia. Secondo lui non potrà fare «le grandi riforme della giustizia o leggi sulla vita».
Sono i confini che il segretario immagina per il governo Draghi, anche se dalla Lega si incaricano di precisare che non è un modo di mettere limiti alla durata, ma solo di ipotizzarla. Draghi ha già detto che sarà lui a scegliere i ministri, Salvini risponde che «totoministri e totosegretari sono l'ultima delle mie preoccupazioni». Resta la vexata quaestio se il medesimo Salvini possa sedere al governo, come proposto dal capogruppo alla Camera Riccardo Molinari in un'intervista all'Avvenire di sabato scorso.
Il dilemma sarà sciolto a breve, dopo le consultazioni di domani e le scelte sulla formula del governo Draghi, mentre sul Fatto quotidiano è partito una specie di ironico sondaggio su quale sarebbe il dicastero più adatto a Salvini: la Difesa? Con il 5S Luigi Di Maio, fa sapere il segretario leghista, si è scambiato messaggi e un messaggio anche con Renzi. «Parlo ogni giorno con Berlusconi, Meloni e Toti. Ora mi dovrò abituare a farlo anche con gli esponenti del Pd» ironizza. Gli toccherà rispondere anche al sindaco di Lampedusa, Totò Martello, che chiede: «Salvini ha cambiato idea anche sull'immigrazione?».
Sull'Ue pochi dubbi. «Siamo mani piedi cuore cervello in Europa» dichiara enfatico. Nessuno su Draghi: «Si è fatto valere. Ricordo i suoi match con i tedeschi nella difesa di interessi comuni». Tira fuori qualche critica. A parte la già citata e controversa direttiva Bolkestein sui servizi, attacca: «Non possono esserci in Europa paradisi fiscali». Poi un esempio positivo: «Se mi dicono di trasferire in Italia la normativa sugli appalti europei ci metto la firma».
Ma non si impicca su nessuna delle proprie proposte, nemmeno sulla
flat tax o su quota 100, anche se è convinto che andrebbe prorogata oltre il 2021. «Non mi siedo al tavolo con punti non negoziabili, non mi porto via il pallone se mi dicono di no». Non si fa, se è una partita della vita.
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