«Non c'è Paese sicuro senza Paesi sicuri, ma soprattutto non possiamo farci dettare la politica estera dalle toghe». È questa la sintesi del pensiero dell'esecutivo, il giorno dopo il verdetto della sezione Immigrazione del Tribunale civile di Roma (basato a sua volta sulla sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso 4 ottobre) che ha stabilito come Egitto, Bangladesh ma anche un'altra dozzina di Paesi, non siano considerati «sicuri» in tutto il territorio, rispetto alla tutela di minoranze religiose o sessuali. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni l'ha già definita «pregiudiziale», la maggioranza prova così ad arginare la mancata convalida dei fermi dei primi 12 migranti egiziani e bengalesi, partiti lunedì da Lampedusa sulla nave Libra della Marina militare, sbarcati a Shengjiin, tradotti nel hotspot di Gjader e riportati a Bari, altrimenti il rischio è vanificare l'accordo tra Roma e Tirana di hotspot extra Ue, di cui da giorni si discute a Bruxelles e soprattutto complicare (e di molto) la lotta dell'esecutivo ai trafficanti di uomini.
Mentre la motovedetta della Guardia Costiera «Visalli» con i 12 migranti ripresi in Albania si dirigeva a Bari, il ministro della Giustizia Carlo Nordio annunciava un «provvedimento legislativo» contro «una sentenza abnorme». I tecnici di Via Arenula e Palazzo Chigi stanno già lavorando a un testo da portare al Consiglio dei ministri, quasi sicuramente sarà un decreto legge per delineare «politicamente» l'elenco degli Stati (22 quelli individuati dall'Italia) in cui sarà possibile rimpatriare i migranti maschi, maggiorenni e in buona salute e senza diritto all'asilo dopo averli portati in Albania. A margine di un convegno a Palermo, il Guardasigilli ha chiarito il suo pensiero: «Non c'è una guerra contro la magistratura, sarebbe sacrilega - dice il ministro della Giustizia - ma contro il merito di questa sentenza, che non solo non condividiamo ma riteniamo addirittura abnorme. Non può essere la magistratura a definire uno Stato più o meno sicuro, è una decisione di alta politica», ribadisce Nordio, puntando il dito anche sugli equilibri nei rapporti tra Italia e Paesi del Mediterraneo che la sentenze rischia di compromettere. «Non possiamo lasciare l'alta politica alla magistratura, queste decisioni possono creare incidenti diplomatici, come definire non sicuro un Paese amico come il Marocco». In pratica un giudice usa un criterio giuridico che scavalca una serie di elementi valutativi della Farnesina, basati ad esempio su rapporti politici e intelligence, di cui la magistratura è sprovvista. Poi Nordio usa un paradosso: «Se noi ritenessimo insicuri Paesi dove vigono regole che noi abbiamo ripudiato, come pene corporali o la pena di morte, allora neanche gli Stati Uniti sarebbero un Paese sicuro e dovrebbero essere espulsi dalle Nazioni Unite».
Secondo fonti parlamentari qualificate, l'ipotesi più accreditata è una norma urgente che elevi a rango di «norma primaria» (non più secondaria, ovvero un decreto interministeriale tra Esteri, Interno e Giustizia) l'elenco dei Paesi considerati «sicuri» per il rimpatrio dei migranti. La definizione non avrebbe più caratteristiche «amministrative», dunque sindacabili, ma politiche, con l'integrazione di una serie di parametri che limitino la discrezionalità dei giudici. Si potrebbero rivedere le procedure sulla richiesta di ottenimento della protezione internazionale dei richiedenti asilo, con l'obiettivo di velocizzare i tempi delle risposte da parte dell'Italia. Una delle ipotesi potrebbe essere quella di conferire più poteri alle commissioni che esaminano le singole domande di richiesta di asilo internazionale, valutando anche di rivedere i meccanismi che riguardano il successivo ricorso all'autorità giudiziaria. Ma qualcuno osserva che la sentenza Cedu, certamente generosa rispetto a un criterio non sempre oggettivo, sia «autoapplicativa»: il diritto Ue prevale su quello italiano.
C'è anche chi invoca un conflitto d'interessi ideologico del giudice Silvia Albano, leader delle toghe rosse
di Md e autrice (come ricordava ieri Il Giornale) di alcune dichiarazioni belligeranti datate mesi fa contro l'intesa Italia-Albania. «Avrebbe dovuto astenersi», dice il vicecapogruppo Fdi alla Camera Alfredo Antoniozzi.
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