Un'America americana che non dà lezioni ad alcuno e non accetta lezioni da nessuno. Ognuno a casa propria e chi chiede i servizi dello Zio Sam, se li paghi. Un'America che con modestia dice di non avere nulla da insegnare e che però è pronta a spaccare la mascella a chi la invade, viola le sue leggi interne, cerca di approfittarne come si è sempre usato dalla fine della Seconda Guerra mondiale quando gli americani si consideravano i poliziotti, i maestri, gli arbitri e i soccorritori del mondo. Game over. Il gioco è finito, si cambia pagina.
Prima che Donald Trump salisse sul podio il suo discorso scritto è stato passato al setaccio elettronico per essere sicuri che, dopo la figuraccia di sua moglie che ha letto come propri brani di Michelle Obama, non corrispondessero ad alcun altri discorso storico di accettazione della corona presidenziale. Il risultato è stato quello previsto. Trump vuole un'America americana che non s'impicci degli affari altrui. Un'America americana che non pretenda di dare lezioni di diritti umani agli altri («e chi siamo noi per insegnare agli altri, noi che non reagiamo neanche quando fucilano i nostri poliziotti?»). E di conseguenza Mr. Trump, il candidato ufficiale del Grand Old Party, promette al suo elettorato formato prevalentemente di bianchi frustrati di mezz'età un'America americana che i soldati se li tiene in casa perché all'estero costano troppo e i Paesi alleati fanno la cresta senza contribuire al costo del servizio.
Nega di essere isolazionista. Nega di somigliare a Richard Nixon. Nega di somigliare a chiunque altro. Che fare con Erdogan? Assolutamente nulla: ognuno è padrone in casa sua. Non possiamo mica andare a rieducare tutti i tiranni democraticamente eletti. Che pensa della tensione dei Paesi baltici che temono di essere inghiottiti in un sol boccone dalla Russia? Interverrebbe la Nato? Bisogna vedere se hanno pagato puntualmente le rate dei contributi. La Nato, ha ricordato, è fondata sul famoso articolo cinque, che dispone l'immediato intervento di tutti i 28 Paesi alleati se uno di loro viene attaccato. È mai accaduto? Soltanto una volta, dice Trump: dopo l'undici settembre. Ma non mi sembra che qualcuno si sia precipitato a fornirci aiuto. Casomai si vedrà, anche perché la Nato è una vecchia baracca da sbaraccare fin da quando non esiste più la guerra fredda. Parole pesanti, alle quali il segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, si è sentito in dovere di replicare: «La solidarietà tra alleati è un valore chiave per la Nato. Ciò è un bene per la sicurezza europea ed è un bene per la sicurezza degli Stati Uniti».
Ma Trump sembra vederla diversamente. La Russia? Un Paese amico con cui si deve convivere in modo disteso. Giappone e Sud Corea faranno bene a vedersela da soli con la Corea del Nord e noi vedremo da casa nostra se intervenire senza spostare eserciti. Gli armamenti? Da rifare. Le nostre bombe atomiche sono talmente vecchie che nessuno sa dire se funzionano o se sono tocchi di ruggine. L'economia? L'America ha le sue risorse interne: gli americani. Lasciate che i nostri fellow Americans spezzino le catene della schiavitù in cui l'hanno ridotta i democratici e vedrete come tutto rifiorirà. Lo Stato federale non deve stare col fiato sul collo del cittadino già torchiato dalle tasse.
America First, l'America per prima, è il suo slogan leit motiv. Poi l'America Great again, grande di nuovo, che è stato il brand della fase centrale della campagna delle primarie e, dopo le uccisioni dei poliziotti bianchi (e un nero), lo slogan principale è stato Law and Order, legge ed ordine, come vuole la simbologia western e protestante.
E su quello slogan poggia anche la conseguente posizione etica di neutralità e d'indifferenza su quel che succede in casa d'altri: quando noi critichiamo Paesi autoritari o dittatoriali, quelli ci sbattono in faccia i nostri tumulti, i video delle violenze sugli inermi, le immagini di un paese che predica pomposamente ma razzola malissimo. Dunque, la ricetta di Trump è: addio sogni di gloria, si torna ad un'America come una fortezza che protegge soltanto gli americani e che respinge tutti gli altri (stretta di vite anche sugli studenti europei, specialmente inglesi, che vanno negli Usa e non tornano più a casa).
Come fare a cavarsela nelle imprevedibili crisi internazionali? La domanda gli era stata posta dai giornalisti del New York Times che lo avevano intervistato alla vigilia del suo discorso. Lui ha pensato un po' e poi ha risposto: «Meetings». Incontri.
Chiacchierate, tutti intorno a un tavolo finché non si trova un accordo. È sicuro di essere il più abile risolutore di problemi attraverso la mediazione. Del resto, ha fatto milioni con un libro scritto a quattro mani su questa sua pretesa abilità.
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