È stato subito definito un «accordo storico». Ed è già considerato il lascito massimo in politica estera del presidente Barack Obama. Ci sono voluti 21 mesi per arrivare a ull'accordo sul nucleare iraniano che negli Stati Uniti sta già spaccando il Congresso: entro 60 giorni dovrà votare sul testo, frutto di un lavoro intessuto per quasi due anni dal segretario di Stato John Kerry.
All'alba di Washington, il presidente americano ha parlato: è un accordo che si basa «su verifiche» e «non sulla fiducia», ha spiegato Obama come a voler sottolineare la consistenza della firma di ieri. Non sono soltanto gli alleati mediorientali dell'America - Israele e i paesi del Golfo che il presidente ha voluto tranquillizzare nel suo discorso - a essere scettici in queste ore. Ci sono anche senatori e deputati americani ed è a loro che si è rivolto Obama quando ha detto di essere sicuro di aver lavorato a un'intesa nell'interesse della sicurezza nazionale e ha promesso di mettere il veto a qualsiasi proposta di legge mirata a «prevenire il successo dell'implementazione dell'accordo».
Gli Stati Uniti e l'Iran si sono riavvicinati ufficialmente nel 2013, dopo mesi di contatti segreti perfino agli alleati più stretti, come il premier Benjamin Netanyahu che ha definito l'accordo «un errore storico». La firma di ieri non riapre le relazioni diplomatiche tra due nemici di sempre e, ha sottolineato Obama, «l'America continua a ritenere Teheran un sostenitore di gruppi estremisti regionali tanto da mantenere sanzioni per il suo appoggio al terrorismo, contro il suo programma missilistico e la situazione dei diritti umani nel Paese». Le pressioni dell'amministrazione statunitense per arrivare a un'intesa prima della fine del mandato di Obama non sarebbero legate soltanto ai dettagli di un documento per arginare il programma nucleare iraniano. Come ha ricordato ieri ai microfoni di Sky Tg24 l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Europa, Federica Mogherini, presente a Vienna ai negoziati, l'intesa «apre la strada a una nuova fiducia». Gli Stati Uniti, su molti fronti aperti come la lotta allo Stato islamico in Irak e Siria, quella contro i talebani in Afghanistan, la guerra tra ribelli Houthi appoggiati da Teheran e governo yemenita, contano ora su un nuovo corso di collaborazione con l'Iran. Forse non abbastanza per convincere il Congresso. I repubblicani sono nei grandi numeri da sempre contrari a un'intesa. Sono loro ad aver organizzato nel 2014 il controverso discorso del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Washington contro la firma di un accordo. Una lettera firmata da 47 senatori è stata invitata ai «leader» della Repubblica islamica. La missiva sottolineava come un testo sottoscritto da capi di Stato e governo internazionali, Obama compreso, ma non ratificato dal Congresso americano, possa essere cancellato in un attimo dal prossimo inquilino della Casa Bianca. Il capo della maggioranza repubblicana al Senato Mitch McConnell ha detto che l'intesa sarà «difficile da vendere» al Congresso. Non si riferiva solo all'opposizione dei repubblicani.
Obama - cui servono 34 voti per far passare il testo - trova chi è contrario anche in casa democratica: il senatore del New Jersey Robert Menendez ha detto di voler essere certo che l'accordo garantisca una deterrenza a lungo termine, mentre Jim Webb della Virginia si dichiara «molto dubbioso». Duro il Wall Street Journal che scrive: «Forse non c'è una provvidenza speciale per nazioni ubriache di speranze e guidate da sciocchi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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