Obiettivo 10 maggio per riprendere le messe. "Noi vescovi fregati..."

Diocesi spiazzate dal blocco. Conte parla con Bassetti (Cei) e lavora a un protocollo

Obiettivo 10 maggio per riprendere le messe. "Noi vescovi fregati..."

Una telefonata tra il premier Giuseppe Conte e il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, per chiarirsi e far ripartire la trattativa per la riapertura al pubblico delle celebrazioni, con il capo del governo che si dice «dispiaciuto» per quanto accaduto, rassicurando che non c'è da parte del governo «un atteggiamento materialista» e con l'indiscrezione che filtra da Palazzo Chigi sulla data del 10 maggio come possibile entrata in vigore del protocollo di sicurezza per i fedeli. Nonostante ciò, si registra un malcontento generale, dal Nord al Sud Italia, con vescovi che si sentono presi in giro dal governo.

La pazienza dei pastori nei confronti di Giuseppe Conte è finita: il premier ha deluso le aspettative della Cei che all'indomani della doccia fredda, la conferma della sospensione delle messe pubbliche anche dopo il 4 maggio, e dopo un comunicato della Cei dai toni molto duri in cui si «esige di tornare all'attività pastorale» ha scelto di seguire la via del silenzio stampa per provare a far ripartire una trattativa già fallita una prima volta. Il canale di comunicazione tra Chiesa italiana ed esecutivo era aperto da settimane, la Cei aveva presentato un decalogo su cui lavorare e aveva ricevuto ampie rassicurazioni anche dal ministro dell'Interno, attraverso un'intervista al quotidiano dei vescovi, Avvenire. «E invece siamo stati fregati», tuona un vescovo del Centro Italia, «i milioni di fedeli insieme a noi speravano di poter tornare tra i banchi delle parrocchie, in sicurezza, per la messa della domenica e invece i signori del Governo, dopo averci illuso ci hanno ripensato». Non è la sola reazione rabbiosa: alla diplomazia istituzionale della Cei si contrappone la frustrazione sommersa di numerosi vescovi, che, pur consapevoli di non aver ricevuto un torto gratuito, oggi dicono di sentirsi con le mani legate dallo Stato, bloccati nell'esercizio della libertà di culto. «Siamo abbastanza saggi e sapienti da poter gestire le cose in autonomia», dice monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, «come non ci si stringe la mano al supermercato o in farmacia», aggiunge l'arcivescovo, «non ci si stringe la mano neppure in Chiesa. In questa fase potremmo sperimentare, ad esempio, l'idea di consegnare ai catechisti o altri incaricati delle ostie consacrate da consegnare ai familiari o agli anziani». Più di un esponente del governo si era mostrato con gli interlocutori della Cei «convincente», aveva rassicurato i vescovi che il premier Conte «non avrebbe fatto scherzi, figuriamoci, è pure devoto di Padre Pio!». E invece, alla fine, è accaduto il contrario e a niente è servito l'aver fatto filtrare nelle stanze di Palazzo Chigi che trattare con la Cei significava parlare con degli interlocutori che avevano avuto un pieno avallo dalla Santa Sede, con Papa Francesco che in piena pandemia si era reso disponibile anche a ricevere in Vaticano il presidente del Consiglio.

«Noi in questo momento abbiamo bisogno di celebrare con i fedeli», dice al Giornale monsignor Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno: «Ce lo chiede la gente che non ce la fa più a stare in questo lockdown. Abbiamo fedeli ormai con turbe psicologiche, noi potremmo aiutarli ma così non possiamo farlo».

Al silenzio stampa della Cei e del suo presidente si è contrapposta la loquacità serale del premier Conte che ha fatto intendere come la trattativa interrottasi bruscamente sia già

ripartita. Questa volta però con una nuova certezza: che nonostante l'immaginetta di San Pio di Pietrelcina nel portafogli del capo del Governo, questa volta la Chiesa sembra decisa a non voler più scendere a compromessi.

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