«Grazie a tutti i lettori per 26 anni di immenso amore e supporto», scriverà l'Apple Daily domani nel suo ultimo numero. Hanno congelato i fondi, arrestato giornalisti e manager, e ieri, come se non bastasse, è finito in manette anche Li Ping, l'editorialista di punta. A Hong Kong il tabloid ha deciso di ammainare bandiera e di chiudere i battenti. Il giornale pro-democrazia cade sotto i colpi della censura imposta dalla Cina e il management della testata non se la sente più di andare avanti. Quelli che ancora non sono finiti in galera fanno sapere di non poter più «sottovalutare la sicurezza del personale. Hanno fatto di tutto per metterci in ginocchio. La Cina è una corazzata, noi siamo troppo piccoli per contrapporci. L'edizione di venerdì sarà quella finale».
Xi Jinping ha mostrato ancora una volta i muscoli contro Hong Kong, «legittimando» nel modo più anti-democratico possibile la discussa legge sulla sicurezza nazionale, entrata in vigore dopo le manifestazioni di piazza del 2019. Nel blitz della settimana scorsa, gli agenti avevano arrestato 5 tra dirigenti e giornalisti, tra cui il direttore Ryan Law e l'ad Cheung Kim-hung, incriminandoli di collusione con forze straniere. Le autorità di Pechino avevano anche congelato beni per 2,5 milioni di dollari, paralizzando il lavoro del tabloid. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il fermo del giornalista 55enne che scrive sotto lo pseudonimo di Li Ping, anche lui accusato di mettere in pericolo la sicurezza nazionale e di amicizie con politici giapponesi e americani. Li Ping è la penna più pungente dell'Apple Daily, ha pubblicato qualcosa come 800 editoriali negli ultimi 5 anni, il più recente riguardava le libertà accademiche in Cina. Lo scorso 18 giugno, quando il giornale venne venduto in oltre 500mila copie sulle ali del dissenso dei lettori per il blitz della polizia in redazione, Li Ping aveva denunciato la drammatica situazione parlando di «una Cina che utilizza strumenti di persecuzione per imbavagliare il pensiero democratico». Pechino aveva preso di mira l'Apple Daily già nell'agosto 2020, quando Jimmy Lai, fondatore della testata e imprenditore attivo nel campo della moda e dei media, venne arrestato con l'accusa di aver sostenuto e istigato le rivolte di piazza. Rilasciato su cauzione, è tornato in carcere nel dicembre dello stesso anno, senza possibilità di uscire di cella pagando una cauzione.
Com'era naturale la chiusura forza di Apple Daily ha provocato vivaci proteste tra le diplomazie internazionali. Piuttosto duro è apparso il tweet del segretario di Stato britannico Dominic Raab, che ha definito la situazione «agghiacciante». Raab ha sottolineato che «è fuori da ogni logica utilizzare una legge sulla sicurezza per ridurre la libertà e punire il dissenso. Il governo cinese si è impegnato a proteggere la libertà di stampa e di parola a Hong Kong nell'ambito della Dichiarazione congiunta Regno Unito-Cina. Deve mantenere le sue promesse e gli impegni assunti liberamente». Resta da domandarsi quali siano le voci libere nell'ex colonia britannica.
Al momento sopravvive solo la storica emittente radiofonica Rthk, che però a febbraio aveva subìto censure dal Partito comunista cinese, a cui erano seguite anche le dimissioni di parte del personale, per nulla intenzionato a svolgere il proprio mestiere sotto pressioni politiche.
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