Il ministro Franco ha ragione a non voler riscrivere il Pnrr, per evitare l'assalto alla dirigenza dei politici desiderosi di farci sopra la campagna elettorale. Anche rallentarlo è rischioso, visto che uno dei nostri problemi maggiori è proprio l'incapacità della macchina pubblica di far accadere le cose e di spendere i fondi.
Dal canto suo, il capo degli industriali pone un tema non marginale. Tra la stesura del Piano di un anno fa e adesso ci sono stati cambiamenti sostanziali nel quadro mondiale, che non somiglierà a quello su cui il Piano è stato costruito. I capitoli più rilevanti e intrecciati sono l'energia e le materie prime. Se prima la transizione verso le rinnovabili aveva una motivazione ambientalista, adesso è questione di sicurezza energetica. Nel frattempo la tassonomia green viene ricacciata nei salotti che l'avevano partorita, mentre riprendono gli investimenti per trovare e pompare gas domestico. Difficile che i circa 70 miliardi allocati per la Rivoluzione Verde e la Transizione Ecologica non debbano essere rivisti.
Il reshoring, cui pure il Ministro fa riferimento, impone che le materie prime siano disponibili per le nostre industrie e a prezzi accettabili. L'inflazione, è ormai chiaro, si avvia a essere un multiplo di quella strisciante che era stata considerata nella quantificazione dei costi delle opere.
Chiedere un tagliando sembra un'espressione di buon senso, al pari dell'apprensione del Ministro a non fermare il Piano. In pratica significa aggiornare le stime di costo delle singole opere, il cui risultato sarà presumibilmente superiore ai 209 miliardi. A quel punto, occorrerà stabilire cosa ridimensionare e cosa sacrificare, anche alla luce di cosa ci ha lasciato la pandemia. Gli oltre 30 miliardi per le Infrastrutture per la Mobilità Sostenibile dovrebbero considerare che si spostano meno persone per lavoro e sempre più merci «ultimo miglio».
La riformulazione dei capitoli di spesa, oltre a conformarsi al nuovo scenario, dovrebbe anche liberare risorse per fronteggiare il caro-energia dei prossimi 24 mesi, di cui il Def dovrà farsi carico. Se fosse necessario, pure qualche miliardo di deficit in più non dovrebbe essere un tabù, considerando l'effetto positivo della maggiore inflazione sul rapporto debito/Pil.
Dulcis in fundo, il Pnrr prevede le riforme. L'Italia che adora vivere a debito le considera un sacrificio per avere i soldi. Chi invece vuole spendersi la ricchezza che avrà operosamente prodotto sa che quella è la parte buona del Piano, su cui non ci può né deve essere alcuna esitazione e rallentamento. Questo Paese deve riprendere a crescere, cosa che non fa da 20 anni.
Quando cresci non ti serve alcun Pnrr, perché attiri gli investimenti privati. Le riforme non sono un fatto della politica e su questo Confindustria dovrebbe farsi sentire, dimostrando di essere piena di imprenditori e non di prenditori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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