Non è bastata la telefonata di John Elkann (nella foto) al presidente della Camera Lorenzo Fontana. Il suo rifiuto a presentarsi in audizione in Parlamento per parlare del presente e del futuro di Stellantis riceve la condanna unanime dei partiti. Solo dalla Cgil di Maurizio Landini non arriva alcuna critica diretta al presidente del gruppo.
Il più contenuto, seppur deciso, è il Partito democratico, con la segretaria Elly Schelin che ha comunque definito il comportamento del presidente del gruppo automotive «da stigmatizzare», visto anche che «solo quattro giorni dopo la sua audizione, l'ad Tavares ha cominciato a parlare alla radio di non escludere licenziamenti». A microfoni spenti, nei corridoi del Transatlantico, i toni dei democratici sono più duri di quelli ufficiali. Si parla di una «totale mancanza di rispetto» alla luce «dei miliardi ricevuti» negli anni dallo Stato. «Ingratitudine» è la sintesi che fanno alcuni parlamentari che però nelle posizioni ufficiali mantengono posizioni più pacate. Molti fanno riferimento ai dividendi miliardari staccati da Stellantis in questi anni, 16 miliardi dal 2021 al 2024, a fronte di una realtà ben meno florida negli stabilimenti italiani, tra cassa integrazione e incentivi alle uscite volontarie dei lavoratori. Pagati per andarsene. Si ricorda poi che interi stabilimenti ex Fiat al Sud, i poli di Melfi e Termini Imerese, sono stati costruiti con risorse pubbliche. Difficile fare un conto preciso di quanto ha ricevuto il gruppo e di quanto ha dato negli anni. Il Corriere cita un'indagine di Davide Bubbico, docente di sociologia economica dell'università di Salerno, secondo cui tra il 1990 e il 2019, includendo anche Magneti Marelli, Iveco e Pwt, il complesso dei contributi ammonterebbe a circa 4 miliardi di euro, a fronte di poco più di 10 miliardi di investimenti dichiarati. Al netto di dati parziali, si arriva comunque alla conclusione che il 40% degli investimenti Fiat sarebbero stati finanziati dallo Stato italiano. Carlo Calenda, Azione, che da tempo conduce una battaglia che lui stesso definisce «in splendida solitudine», è stato il più duro con Stellantis: «Elkann deve imparare che può essere molto ricco, ma questo non lo esime dal rispettare le istituzioni, perché quelle istituzioni, contro il mio parere, gli hanno dato 6,3 miliardi di garanzia durante il Covid» per sostenere il settore «e lui con una parte di quei soldi si è pagato un dividendo. Quindi adesso deve venire e rispondere delle promesse che ha fatto». Calenda aveva già attaccato il segretario della Cgil Landini e il Pd per il «silenzio» del sindacato di fronte all'emorragia di posti di lavoro e di tagli agli investimenti. Evocando il ruolo del quotidiano Repubblica: «C'è stato un effetto Repubblica sulla sinistra italiana dopo l'acquisto degli Elkann, perché Schlein e il sindacato italiano non parlano più di Stellantis. Landini ha ammorbidito i toni in maniera incredibile». Il leader del sindacato nega e rivendica le sue battaglie. Per il Pd, con Walter Verini, «il gesto di Elkann verso Parlamento è da condannare, mi auguro che si possa fare di tutto per fargli cambiare idea».
Per il dem Antonio Misiani «ha sbagliato a rifiutare l'invito, ma anche il governo ha gravemente sbagliato». Secondo Angelo Bonelli, di Avs, «il rifiuto di Elkann è un atto di arroganza e di offesa a un'istituzione democratica che rappresenta gli italiani».
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