Ora il M5S è solo un cespuglio: così Conte lo ha reso ininfluente

L'esordio di Giuseppe Conte come leader è un disastro. Gli italiani lo conosco bene e lo bocciano. E Il Pd, in quel campo, ormai viaggia in autonomia

Ora il M5S è solo un cespuglio: così Conte lo ha reso ininfluente
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Nei piani di Giuseppe Conte, quella tra MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico sarebbe dovuta essere una competizione per la leadership del centrosinistra. Se è vero che l'ex presidente del Consiglio vuole giocarsi la premiership e tornare a Palazzo Chigi, allora è vero pure che ritiene il nuovo corso del grillismo capace di misurarsi sul terreno del consenso con gli alleati giallorossi. I dati emersi tra il pomeriggio di ieri e la mattinata di oggi, però, raccontano un'altra storia: l'ininfluenza dei penstastellati nel conteso elettorale è tanto palese quanto rumorosa. Si dirà che le elezioni politiche sono diverse da quelle amministrative ed è vero. Il tonfo del MoVimento 5 Stelle, però, è così clamoroso da prescindere dalla tipologia della turnata.

Il Partito Democratico riesce a giocarsela anche da solo. Questo è il dato che emerge con forza dalle amminsitrative del 2021. La vittoria di Beppe Sala a Milano non ha bisogno dell'apporto contiano. Il ballottaggio ottenuto a Roma da Roberto Gualtieri non è passato dall'intesa giallorossa. Anzi, forse i romani che hanno scelto Pd sono stati persuasi proprio dal netto distinguo con la Raggi e con la sua azione da "sindaca". A Napoli, dove il centrosinistra si è diviso in più rivoli, il neo primo cittadino Gaetano Manfredi, con ogni probabilità, avrebbe vinto pure senza la discesa in campo del leader pentastellato. E questo al netto della fretta con cui l'establishment grillina si è recata nel capoluogo campano ieri sera per rivendicare di averci messo del suo. Per non parlare di Bologna, dove la partita non è mai esistita. A Torino, invece, il Pd conquista il secondo turno nonostante il fuoco amico della candidata grillina sostenuta da Chiara Appendino, un po' com'è accaduto in Capitale. Insomma, il MoVimento 5 Stelle fa parte del centrosinistra, ma a ben vedere quest'ultimo ha un interesse relativo a viaggiare con la compagnia di Giuseppe Conte. Con questi numeri, i grilini non sono nemmeno associabili al "decimo" utile per il calcetto.

Il post elezioni di Giuseppe Conte, tralasciando la narrativa che verrà presentata, è piuttosto drammatico: Roma e Torino, due città che hanno conosciuto il modus operandi degli apritori di scatolette di tonno, hanno bocciato senz'appello le esperienze scelte cinque anni fa. Quasi come se le città avessero riconosciuto di aver compiuto un errore. E in linea di principio, gli uscenti partono sempre con qualche punto di vantaggio rispetto agli altri. Una regola sempreverde della politica elettorale che però per il MoVimento 5 Stelle continua a non valere. Vorrà pur dire qualcosa in termini di capacità politica e di gestione delle macchine amminsitrative. Si è fatto un gran parlare della "semina" di Giuseppe Conte: l'ex presidente del Consiglio, che continua a dire che questo è il tempo in cui piazzare le fondamenta, però, non è un personaggio così nuovo. Conte ha governato l'Italia durante la fase più dura della pandemia, con la sovraesposizione mediatica e tutto il resto. Gli italiani lo conoscono eccome e lo hanno bocciato al primo giro di giostra.

Il leader pentasellato ha un problema di posizionamento politico, oltre che di organizzazione e struttura partitica: vorrebbe sedersi al tavolo del liberalismo democratico, ma il passato condito dai "vaffa" antisistemici non si cancella con una pochette e qualche modifica linguistica. Al contempo, Conte non può neppure abbandonare del tutto il lato sinistro del massimalismo giustizialista. Un po' perché i grillini giustizialisti lo sono ed un po' perché così facendo il MoVimento 5 Stelle rischierebbe di mostrare il fianco ad operazioni di rivalsa del grillismo della prima ora. Leggasi pure Alessandro Di Battista ed eventuali velleità. Conte, insomma, è nel più classico dei "cul de sac". Con una base che ha perso l'entusiasmo degli inizi e con uno schema politico che consente manovre relative, considerato Mario Draghi a Palazzo Chigi e l'indisponibilità di Beppe Grillo ad organizzarsi come forza di opposizione.

Il Pd, dal canto suo, tira dritto. Giuseppe Conte sembra una parentesi già terminata della politica italiana e dalla parti del Nazareno non stanno predisponendo scialuppe di salvataggio. Resta, sul piano delle ipotesi, una suggestione: il tentativo di occupare lo spazio destinato al centrismo. Ma il MoVimento 5 Stelle è giustizialista, non per forza atlantista e poco incline alla dialettica politica, così come dimostrato con il ddl Zan, con le riforme Cartabia e con tutta una serie di questioni centrali discusse in Parlamento di questi tempi.

Il moderatismo non è mai stato di casa dalle parti dei grillini. Qualunque strada Conte provi ad imboccare, insomma, è senza uscita. E le statistiche elettorali iniziano a fotografare un fallimento che solo un certo modo d'interpretare il quadro politico ha evitato di notare.

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