Se Zingaretti rivendica un Partito Democratico che non esiste

L'ex segretario lancia un manifesto sul Pd che racconta una storia mai vista. Ecco cosa svela la mossa dell'ex leader piddino

Se Zingaretti rivendica un Partito Democratico che non esiste

Il manifesto che l'ex segretario Nicola Zingaretti ha scritto per Il Foglio parla di un Partito Democratico che non esiste. Una formazione che, per il governatore della Regione Lazio, avrebbe evitato che i populismi compromettessero l'avvenire italiano, costruendo al contrario una prospettiva del "sì", a discapito della sfilza di ideologismi beceri e delle pericolosità che proverrebbero da destra. Zingaretti è inoltre convinto che il Pd, pure con Enrico Letta segretario, non sia e non debba essere "subalterno".

Il senso (ed il suo contrario) dell'improvvisa rinascita zingarettiana a mezzo manifesto è tutto in questo passaggio: "Non ho mai sopportato una sinistra minoritaria e subalterna, che accetta la scorciatoia identitaria del no e del parlare male degli altri per raccattare voti ( pratica di cui si abusa in maniera oscena anche al nostro interno). Lasciamo questa deriva deprimente ai partitini personali che servono ( poco) solo a chi ne fa parte". La "scorciatoia identitaria del no", per iniziare, è proprio quella che Enrico Letta ha imboccato sul Ddl Zan. Un disegno di legge che sarebbe stato approvato prima dell'estate se il Pd avesse aperto ad alcune modifiche. Lega, Forza Italia, ma pure Italia Viva, erano più che disposti a ragionarci. Letta no: ha scansato la dialettica politica, preferendo rimandare tutto. E se questa non è la sinistra della "scorciatoia identitaria", allora cos'è?

Ma di esempi se ne possono presentare altri. Anzitutto bisognerebbe chiarire il significato politico di "populista". Lo sport della sinistra giustizialista è diventato quello di bollare come "sovranista" o "populista" qualunque tipologia partitica non appartenga al campo progressista. Tuttavia, prendendo però per buona la definizione classica di "populismo", si direbbe che lo stesso Giuseppe Conte, alleato organico del Pd, sia eccome un "populista". Lo dimostrano: le sue continue giravolte su alcuni provvedimenti; l'atteggiamento avuto sulla riforma Cartabia (atteggiamento che il Pd non ha osteggiato, a proposito di "subalternità"); l'autosmentita sui Dl sicurezza; l'improvviso cambio linea sulla gestione dei fenomeni migratori e così via. Il vantaggio di Conte, per così dire, è quello di essere l'artefice di una forma di populismo indefinito, perché scevro di piattaforme programmatiche di riferimento.

E se è vero che Conte è un populista, ed è vero, allora varrà la pena ricordare a Zingaretti di come non abbia affatto messo "in sicurezza" l'Italia dalle "politiche populiste che raccontano e cavalcano i problemi". Se non altro perché, proprio la disponibilità del Pd, ha consentito al MoVimento 5 Stelle di non naufragare a mezzo elezioni politiche nel periodo a cavallo tra il gialloverde ed il giallorosso. La parte del manifesto che riguarda le prospettive politico-istituzionali invade l'eufemismo. Ad un certo punto, Zingaretti risponde a chi domanda come mai il Pd sia fermo al 20% dei consensi, annotando che è il "classico modo di porre il tema da parte di chi nella sua vita non si è mai cimentato con la fatica della raccolta del consenso magari perché da sempre nominato ed eletto grazie a vittorie di altri". A dirlo è l'ex segretario di un partito che non vince le elezioni politiche da qualche decennio, ma che con puntualità si ritrova a far parte di esecutivi.

Poi c'è quell'aggettivo, "subalterno", che sembra raccontare a pieno la linea che Enrico Letta ha deciso di abbracciare nei confronti di Giuseppe Conte. Una prova su tutte: la spassionata difesa del reddito di cittadinanza, mentre l'intero arco parlamentare valuta quantomeno un ripensamento dello strumento assistenzialista. Lo stesso che i dati hanno bocciato in qualità di fallimento. Se questo non è il Pd della subalternità, viene difficile immaginarne uno che invece lo sia. Forse un micropartito contiano.

Tra chi, come The Post Internazionale, pone un accento sul fatto che l'intervento su Il Foglio di Zingaretti serva pure per confermare il suo apporto elettorale alla candidatura a sindaco di Roma dell'ex ministro Roberto Gualtieri e chi, al contrario, ci legge un'indicazione indiretta verso il prossimo congresso piddino, emerge soprattutto una profonda contraddizione in termini. Perché, per Zingaretti, "mettere in sicurezza" il Paese, significava consegnare l'Italia a Conte, dunque evitare in via indiretta lo scenario che ha consentito a Mario Draghi di divenire premier. Questa è l'interpretazione che deriva dal manifesto.

Un po' presto, infine, per parlare di "mire zingarettiane". Certo è che questo manifesto sblocca una voce che era rimasta silenziata.

Ma è sempre Zingaretti, nel manifesto, a prendersela con i "silenzi calcolati". Tipo il suo, mentre Letta, proseguendo sulla scia della segreteria precedente, consegnava il Pd mani e piedi all'alleanza organica, oltre che tematica, con i populisti a cinque stelle.

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