Spagna, Gran Bretagna, Irlanda, Slovenia e Cipro sono pronte a far scattare le manette per Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, se i due leader israeliani mettessero piede nei propri Paesi. «Rispettiamo la decisione della Corte penale internazionale e ci atterremo ai suoi impegni e obblighi in relazione allo Statuto di Roma e al diritto internazionale» è per lo più il contenuto delle note ufficiali delle cancellerie, dopo i mandati d'arresto emessi dalla Corte contro premier e ministro israeliani (e contro il capo di Hamas, Mohammed Deif) per crimini di guerra e contro l'umanità nel conflitto a Gaza (e nella strage del 7 ottobre nel caso di Deif).
Tutt'altro tono rispetto al leader di Budapest, Viktor Orbán, che si fa paladino d'Israele per screditare la Corte, ma con molta probabilità punta meno onorevolmente solo a rendere un favore al leader amico Vladimir Putin, contro cui la Cpi ha emesso un mandato d'arresto per la guerra in Ucraina nel marzo 2023. Orbán invita Netanyahu in Ungheria e sostiene che l'unica scelta sia sfidare la Cpi, definita «antisemita» da Netanyahu.
Ma l'alleato più fidato di Israele si insedierà a gennaio alla Casa Bianca ed è quello che si riserva di sfoderare la ritorsione più concreta. Si tratta del prossimo presidente americano Donald Trump, che secondo fonti della tv israeliana Kan News sta già pianificando sanzioni contro la Cpi, con la volontà di colpire il procuratore capo Karim Khan e i giudici che hanno emesso i mandati. Se Biden ha definito «scandalosi» i due mandati d'arresto, spiegando che gli Stati Uniti non li eseguiranno, Trump potrebbe revocare tutti i visti statunitensi posseduti dai funzionari della Cpi e impedire loro di effettuare transazioni immobiliari negli Stati Uniti, come peraltro prevedeva una proposta di legge avanzata dai repubblicani già a luglio. Gli Usa, come Israele, Russia, Cina, India e altri Paesi non aderiscono allo Statuto di Roma e dunque non riconoscono la giurisdizione della Cpi.
Chi approfitta dell'annuncio della Corte per togliersi un sassolino dalla scarpa è Mosca, dopo il mandato d'arresto che la Cpi ha emesso contro Putin un anno e mezzo fa. Con una dichiarazione in cui snobba la Corte, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, finge di non volersi pronunciare, ma dice di fatto la sua: «Non vediamo il motivo di commentare in alcun modo la questione, perché per noi queste decisioni sono insignificanti».
Non prende posizione la Cina di Xi Jinping, che esorta la Corte a mantenere «una posizione oggettiva e imparziale» e a esercitare «i suoi poteri in conformità con la legge e gli standard unificati». Cautela anche da parte della Francia, che «prende atto» della decisione della Cpi, ribadisce il suo «impegno di lunga data nel sostenere la giustizia internazionale» ma non precisa se sia pronta o meno ad arrestare Netanyahu e Gallant.
La Germania spiega che non garantirà l'arresto di Netanyahu e Gallant, per le «relazioni uniche e una grande responsabilità nei confronti di Israele» e fa sapere di star esaminando con attenzione «i passi interni» da intraprendere. È probabile che, come Roma e Parigi, Berlino aspetti il G7 di lunedì per una decisione comune.
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