
«La guerra commerciale è un enorme problema per l'industria italiana». Il numero uno di Confindustria, Emanuele Orsini, sceglie parole forti per una situazione che rischia di azzoppare l'export nazionale. Intervenendo al congresso di Azione, Orsini ha snocciolato i numeri in gioco: 503 miliardi di esportazioni Ue verso gli Stati Uniti contro 347 miliardi di importazioni, con quindi un saldo positivo di 156 miliardi. Per l'Italia ci sono in ballo ben 67 miliardi di export rispetto ai 25 miliardi di import dagli Usa, ossia un saldo positivo di ben 42 miliardi. Il numero uno di viale dell'Astronomia, che caldeggia la messa in campo durante i negoziati di temi quali l'acquisto di gas e difesa; e soprattutto l'Europa deve presentarsi compatta durante i negoziati anche perchè il problema riguarda tutto il continente con il 52% dei nostri prodotti che va in Europa e quindi «c'è bisogno di una tenuta economica complessiva». A sollecitare Bruxelles a «darsi una sveglia» e agire in maniera coesa è anche la segretaria Cisl, Daniela Fumarola, che pone l'accento sulle ricadute che la questione dazi può avere sulla tenuta dell'occupazione. L'ad di Fiere di Parma, Antonio Cellie, invita invece a guardare ad altri mercati. «Ci siamo un po' adagiati sugli Usa, un mercato facile perché gli americani amano il made in Italy, bisogna imparare a vendere anche in altre geografie».
In caso di implementazione aggressiva dei dazi trumpiani, il contraccolpo per l'Italia rischia di essere significativo. Il Centro Studi di Unimpresa ha calcolato ieri un impatto negativo cumulato di circa tre decimi di Pil nel biennio 2025-2026. Per quest'anno la stima di crescita del Pil è stata ritoccata al ribasso dall'1% allo 0,7%, mentre per il 2026 rimane la proiezione di un +1% dell'economia ipotizzando una possibile distensione dei dazi, un'accelerazione nell'attuazione del Pnrr e ricadute positive derivanti da una maggiore spesa pubblica nei principali partner commerciali, Germania in primis.
Sul versante della finanza pubblica, Unimpresa si aspetta che il deficit si avvicini già quest'anno al 3%, anticipando di un anno il target governativo (3,3%) dopo che già nel 2024 il disavanzo si è attestato al 3,4%, meglio delle previsioni in virtù di entrate superiori al previsto, legate alla dinamica di occupazione e redditi.
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