Il Paese senza memoria

Il coraggio dei medici e le migliaia di caduti? Dimenticherete tutto. Perché dalla guerra agli anni di piombo abbiamo sepolto tragedie e grandi esempi. Senza imparare nulla

Il Paese senza memoria

Tanto li dimenticherete. I cento e passa medici caduti in trincea, i ragazzi degli anni Sessanta, nostri nonni di oggi, morti senza una carezza, le storie che vi abbiamo raccontato, lui e lei che se ne vanno tenendosi per mano, l'infermiera crollata di stanchezza sulla tastiera, le bare portate a bruciare altrove. Li dimenticherete perché siete così, perché siamo così. Quando ritroverete luce e aria, come usciti da un bunker o da un incubo, vi metterete tutto alle spalle, ansiosi di dimenticare e di correre incontro al domani, perchè, come diceva Stalin, una morte è una tragedia, un milione di morti è una statistica. E la «statistica» servirà al massimo per fare polemica politica sui social, per gettarla addosso a qualcuno come una colpa. Non per imparare, non per migliorare, non per capire. Dimenticherete come avete dimenticato quanti sono gli italiani uccisi dal terrorismo islamico che ormai vi sembra lontano anni luce. Sono 56. E vi ricordate come si chiamava la giovane ricercatrice caduta al Bataclan? No. Si chiamava Valeria Solesin. Per settimane non avete parlato d'altro e adesso chi se la ricorda più? Li dimenticherete come i ragazzi alleati sepolti a Cassino, 4266, che non sono tornati a casa neppure da morti, i liberatori dell'Italia che la Liberazione fa sempre finta che non esistano e non è difficile capire perchè. Li dimenticherete come i ragazzi caduti nelle strade degli anni di piombo, 38 per la statistica, ma furono quasi 8mila gli attentati: ragazzi di quattordici, sedici, vent'anni, ammazzati a sprangate o a colpi di pistola per la strada da ragazzi come loro. C'erano funerali oceanici allora e slogan definitivi, oggi sono solo una ferita nei cuori delle loro madri, perché l'odio politico che sembrava morto è tornato in circolo. Morti senza insegnare nulla. O come le stragi del sabato sera, cinquanta morti in due mesi a fine 2019, che continuano imperterrite da decenni, fermate solo dal virus killer.

L'Italia è un Paese che dimentica alla svelta le sue tragedie e non impara niente neanche da queste. Il terremoto di Messina in 37 secondi fece 120mila morti, tutti cremati per paura delle epidemie. Oltre alla scossa, tremenda, arrivò uno tsunami: la baracche sono state abbattute nel marzo dell'anno scorso, c'è voluto più di un secolo per consegnare le case ai terremotati. A Balvano il deragliamento del treno merci 8017 provocò 517 morti, ma c'è chi dice 626, fu il Titanic delle nostre ferrovie. Alla stazione c'è una lapide che lo ricorda: l'hanno scoperta tre anni fa, settantatre anni dopo il disastro. Il nostro Titanic, invece fu l'Andrea Doria, il transatlantico speronato e affondato dallo Stockholm. Senza il coraggio dell'equipaggio i morti sarebbero stati molti di più di 52, ma furono calunniati, offesi e dimenticati. Due anni fa Genova ha deciso di intitolare una via ai ragazzi del comandante Piero Calamai: 62 anni dopo.

I caduti dell'Heysel, quella notte c'è chi fece festa in piazza, sono diventati uno striscione da stadio, quelli di Nassirya uno slogan dei centri sociali. Chi si ricorda più di Sante Zennaro, sacrificatosi per salvare una scuola.

O di Carlo Urbani, morto per bloccare la Sars? Due anni fa è andato via senza far rumore Stanislav Petrov: salvò il mondo dall'olocausto nucleare, se siamo vivi è grazie a lui, ma grazie nessuno glielo ha detto. Per questo li dimenticheremo, come sempre. Nell'epitaffio che a Milano ricorda i morti della Peste del Seicento c'è scritto: «Quel che sarete voi noi siamo adesso: chi si scorda di noi scorda sé stesso».

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