La "paesofia" è una pratica quotidiana

I paesi li riconosci, perché hanno tutti la stessa anima e allo stesso tempo ognuna è diversa

La "paesofia" è una pratica quotidiana
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Paesofia. L'enciclopedia Treccani ti dice che è un neologismo. È una parola che battezza il libro di Gianluca Galotta. È filosofia e viaggi nei piccoli paesi. È un luogo dove rifugiarsi per leggere e pensare. È forse una piccola utopia. Paesofia è una parola adesso di moda, ma soprattutto è vita, quotidiana e spesso faticosa. È un tempo vuoto da riempire. È sopravvivere. Qualche volta è un progetto che da tre lustri cerca di illuminare la costellazione di paesi di una valle ai confini del parco nazionale d'Abruzzo, sotto Montecassino, nel Lazio, e all'incrocio di altre tre regioni. È la scommessa di un circo culturale che gira di piazza in piazza. È il festival delle Storie. Non è teoria, ma pratica. È il sogno di un rinascimento.

I paesi li riconosci, perché hanno tutti la stessa anima e allo stesso tempo ognuna è diversa. È universale e particolare e la trovi sull'Appennino o sulla frontiera del mare. Ci sono certe sere d'inverno in cui ti trovi a fare i conti con il deserto, ti sembra quasi di sentire i passi dei fantasmi, la sensazione del vuoto. Il terrore di camminare in paesi perduti e ti accorgi che sei a un crocicchio del destino. Questa o sarà valle o non sarà. È come la pallina di Match Point, il film di Woody Allen, basta un sussurro per far cadere il futuro da una parte o dall'altra, rassegnarsi a un pugno di paesini dormitorio, hinterland di una città martire e di un'industria lasciata lì come una cattedrale post-moderna, Fiat lux, come contraltare al monastero distrutto e ricostruito, con l'unica speranza che l'Ora et Labora possa funzionare ancora, oppure riconoscersi e sfidare il mondo. La Valle di Comino sta scegliendo di accendere tutte le luci. Non è mai stata così magica. Adesso basta solo un soffio di fortuna.

Quando hai scoperto la valle? La prima volta che hai provato a guardarla con gli occhi degli altri, quelli che arrivano, gli stranieri, gli ospiti, passati da qui per raccontare storie e ripartiti inebriati di nostalgia e bellezza. Come ti disse quella volta Gianfranco Calligarich. «Questi paesi me li porto dietro come una breve filastrocca di bellezza o, se li separi in tre gruppi, come la difesa, il centrocampo e l'attacco di una squadra che ti sta a cuore. Te ne accorgi quando, parlando con qualcuno di luoghi da vedere, escono improvvisamente dal loro nascondiglio per materializzarsi coi loro nomi sulle tue labbra. Esempi di una bellezza che conosci solo tu».

Tu in questa bellezza ci sei nato, ma per te era solamente il mondo, il tuo mondo. Sei dovuto partire e tornare, perderti e tribolare, seppellire padre e madre e scoprirti orfano per stringere tra le mani questo pugno di terra e giurare che non l'avresti più abbandonata per conoscere il suo sapore. Per riconoscerti. E quando hai paura di non farcela è qui che ti vedi passare davanti un capriolo, che sbuca dal buio, di notte, camminando lento, senza neppure guardarti, tanto da spingerti ad abbassare i fari, per non smarrire l'incanto, come se lui fosse un patrono, come quelli di Harry Potter. Magia. Come il coraggio che trovi ascoltando l'ululato dei lupi nei giorni della neve o la compagnia di un barbagianni, che le sere d'estate va a caccia di pipistrelli volando tra il campanile e i tetti.

Noi siamo il verde, poi a un certo punto comincia il grigio di periferie casertane, di casermoni, di centri commerciali troppo grandi, di strade statali che di notte diventano suk della coca, con le luci delle auto in sosta che comprano tanto al chilo, come se fosse la cosa più normale del mondo. Noi queste cose le guardiamo al di qua del confine, lì dove si snoda la linea Gustav, e ci auguriamo che quelle vecchie casematte tedesche reggano, come simbolo, come talismano, come linea del fronte. Questa crisi senza fine ci sta però mettendo alla prova e ci troviamo di fronte a una di quelle svolte del destino, a un crocicchio, simile a un lancio di moneta.

Testa o croce? Croce è un futuro da periferia desolata di Gomorra, testa è scommettere sui paesi. Puntare su una valle dove si può camminare sulle tracce dell'orso o ascoltare di notte l'ululato dei lupi, su percorsi affascinanti da scalare in mountain bike o sulle arrampicate fino al monte Meta, dove all'alba, quando la luce è chiara, si possono vedere i due mari, il Tirreno e l'Adriatico.

Si possono seguire strade sterrate o camminare lungo i sentieri del parco, o seguire il corso di un fiume a bordo di una canoa o volare con un deltaplano da Forca d'Acero fino al centro della valle. Ecco. È qui che si raccontano storie. In questo palcoscenico senza palco e senza barriere, l'ospite è uno di casa. Paesofia è viverci.

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