"Il Papa lavora per la pace ma l'Europa e l'Occidente devono ritrovare la loro anima"

L'ex presidente della Cei: la pace definitiva era solo un sogno, il brutale risveglio impone un ripensamento e una diplomazia onesta

"Il Papa lavora per la pace ma l'Europa e l'Occidente devono ritrovare la loro anima"

Cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova, lei è stato presidente della Conferenza episcopale italiana e di quella europea. L'Europa è la grande incompiuta tra gli attori che svolgono un ruolo attorno alla guerra in Ucraina. Non crede?

«Il sogno di un'Europa unita è una realtà incompiuta non tanto perché ciò che è umano è sempre migliorabile, ma soprattutto perché dovrebbe tornare alle sue origini, ai Padri che pensavano l'Europa come «casa delle Nazioni», «unione nella diversità», non come un soggetto uniforme e uniformante. Deve conservare la sua identità che, prima di essere geografica, economica, politica, è storica, culturale, morale. Il suo volto, infatti, è costituito da un insieme di valori universali che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, avendo così un ruolo fondativo nei confronti del Continente. Tali valori sono la sua anima. La Brexit poteva essere l'occasione per riflettere e verificare il percorso. L'Europa deve ripensare se stessa, ha detto spesso Papa Francesco. La situazione di oggi lo impone».

Eminenza, non le sembra che non si possa parlare soltanto di armi?

«Ovviamente no: sarebbe rinchiudersi nella prigione della guerra e dei suoi orrori. La mia generazione ha ancora negli occhi le macerie della guerra; oggi abbiamo avuto un brutale risveglio dal sogno di una pace scontata e definitiva. È più facile parlare di armi - per qualcuno è anche più conveniente - piuttosto che di riconciliazione che richiede onestà e intelligenza. La diplomazia è una cosa seria: le cose complesse e complicate come i conflitti richiedono capacità e competenza, lungimiranza e onestà, avendo di fronte la realtà dei morti e dei dolori».

Il Santo Padre ha manifestato tanto la volontà di recarsi a Kiev quanto quella d'incontrare Vladimir Putin. Ma per ora la Russia non vuole procedere con un incontro. Come sta agendo il Vaticano?

«Con visione e realismo. Cercando anche di forzare le situazioni per porre fine alla guerra. Il Santo Padre ha posto degli atti coraggiosi: sono stati una grande profezia. La diplomazia vaticana ha una esperienza riconosciuta e apprezzata nel mondo: certamente non fa chiasso e non umilia gli altri, specialmente se si deve trattare con loro per giungere ad un accordo. Non mira alla propria immagine, ma ai problemi che riguardano gli Stati e i popoli».

Qual è il ruolo che l'Occidente dovrebbe svolgere in merito alla guerra?

«L'Occidente non è il mondo, ci sono altri continenti. Tutti siamo intrecciati in diversi ambiti e per diversi motivi, ma l'interconnessione non deve diventare sottomissione. Spero che tutti abbiano vero interesse per una giusta fine del conflitto e per la pace. Se ci fossero interessi diversi non dichiarati, sarebbe un crimine da portare al tribunale della storia. Chiunque ponga ragionevoli e onesti gesti di riconciliazione, sarà un giusto».

Però l'Occidente è, secondo la lettura cattolica, in una profonda crisi valoriale.

«Non si tratta di una lettura confessionale, ma di un dato di fatto alla luce del buon senso. Di quel buon senso che sembra a volte merce rara e che la gente semplice, che non ha manie di grandezza, di solito ha. Il progresso tecnologico non deve essere un regresso etico, altrimenti si rivolge contro l'uomo e la società. Prima o poi implode. Il nichilismo, cioè la svalutazione e la derisione dei valori giudicati sorpassati, snatura l'uomo e crea non una società solidale, ma dei formicai. L'albero si giudica dai frutti: alcune indagini indicano che lo smarrimento e l'angoscia sono diffusi soprattutto tra le giovani generazioni».

La globalizzazione rischia di essere minata dal conflitto in corso. Forse questo fenomeno non aveva basi così solide.

«Se per globalizzazione si intende i mercati, e il mercato prevale sull'uomo, allora è male impostata. I rapporti economici non devono diventare soggezione politica. La base di ogni cammino comune non può essere l'economia, poiché facilmente prevarranno gli interessi dei più forti. La base dev'essere di ordine spirituale e morale: è fiducia, rispetto delle culture, non la presunzione di essere superiori, non l'arroganza di livellare tutto e tutti. È una grave illusione pensare di creare la pace universale e una società unità perché omogenea. L'imperialismo culturale può portare al pensiero unico ma non crea una comunità di vita e di destino, un senso di appartenenza che fa sentire a casa. A volte viene da chiedersi a che cosa si miri veramente».

Lei in un'omelia del 2013 disse che la «guerra è una tragica illusione».

«Sì, perché fa stragi e distruzioni, e lascia ferite nella memoria e nell'anima che perdurano nel tempo. Ogni guerra è, soprattutto oggi, un fallimento del mondo.

Bisogna non arrivarci, lavorando molto di più sulle premesse: le valanghe partono da minimi movimenti del terreno fino a diventare devastanti. La superficialità, la mancanza di responsabilità, o peggio la malvagità, non impediscano di scorgere le avvisaglie di guerra e di porvi immediato rimedio».

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