"Parole d'odio e cortei. Noi ebrei preoccupati per questa Milano"

La Comunità ebraica di Milano si mostra preoccupata e addolorata: parla Ilan Boni

"Parole d'odio e cortei. Noi ebrei preoccupati per questa Milano"
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Inquietudine e amarezza. La Comunità ebraica di Milano si mostra preoccupata, e addolorata, per ciò che da mesi, o anni, si vede nelle piazze di Milano. Lo fa con il vicepresidente Ilan Boni. In questo senso gli insulti rivolti all'Italia nella notte di Capodanno da un nutrito gruppo di giovani stranieri o immigrati di «seconda generazione», sono solo l'ultimo episodio di una lunga serie di manifestazioni.

Vicepresidente, al di là dei possibili profili penali, come giudica i fatti che si ripetono drammaticamente nelle piazze di Milano?

«Ciò che è accaduto mi rattrista profondamente. Come cittadino milanese, vedere la mia amata città ostaggio di gruppi che non esitano a deturparne la bellezza e a violarne i simboli più cari è un colpo al cuore. Come persona di fede ebraica, invece provo un senso di amarezza ancora più profondo per le parole di odio che, ormai con inquietante regolarità, risuonano nelle nostre piazze».

Contro Israele?

«Slogan come Dal fiume al mare o Morte agli ebrei non sono semplici frasi gridate, ma rappresentano un veleno che si insinua nelle crepe della nostra società. Manifestare è un diritto sacrosanto, ma farlo inneggiando alla violenza non è più una manifestazione: è un insulto. Non solo a Israele o al popolo ebraico, ma anche a Milano stessa».

Nei cortei, un pezzo d'Italia accusa Israele.

«Purtroppo Israele sembra stia perdendo questa guerra sul piano mediatico. Il regime iraniano, da anni, non nasconde la propria volontà di cancellare Israele dalla carta geografica. Eppure, questa retorica violenta riceve raramente una condanna. È come se esistesse una certa indulgenza nei confronti di certe narrazioni, mentre altre vengono passate al microscopio. Israele ormai da troppo tempo si trova di fronte a nemici che non riconoscono nemmeno il suo diritto di esistere. È fondamentale che il dibattito pubblico sia più onesto».

Con quali sentimenti il mondo ebraico sta vivendo il caso di Cecilia Sala?

«Il nostro pensiero va a Cecilia, alla sua mamma e alla sua famiglia. Nessuno meglio di noi può capire quel dolore, quell'angoscia che ti strappa il respiro mentre aspetti notizie di una figlia lontana, prigioniera nelle mani di chi non conosce pietà.

Noi lo sappiamo bene, perché oltre 100 ostaggi israeliani, tra cui 2 bambini di appena un anno, sono nelle mani di Hamas da oltre 450 giorni. Ogni giorno che passa è un giorno in più di sofferenza per le loro famiglie. Il dolore non ha bandiere, il dolore è umano. E questa umanità dobbiamo tenerla stretta, soprattutto nei momenti più bui».

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