Renzi alla fine getterà nella mischia Prodi nella corsa per il Quirinale? Oppure è solo un tentativo per mischiare le carte e far paura al centrodestra? Della serie, attenti a non tirare troppo la corda, perché altrimenti vi "beccate" Prodi. Non a caso Forza Italia ha fatto subito trapelare il proprio disappunto, parlando di "provocazione". Ufficialmente il presidente del Consiglio e il Professore lunedi hanno parlato solo di economia e politica internazionale. Ma un accenno, magari anche breve e tra le righe, al prossimo inquilino del Colle è probabile che ci sia stato. Con Prodi che avrà detto: ho già dato, e dopo l'ultimo scherzetto per me è "game over". E il premier che lo avrà rassicurato: non ti faremo più sgambetti, sei una risorsa per la Repubblica e non ho nulla contro di te (magari scaricando ogni colpa del passato su D'Alema).
"È un incontro tra persone che condividono una stessa filosofia, di un partito democratico maggioritario - commenta il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio -. L’esperienza di Prodi è molto utile a questo Paese. In politica estera, in politica europea, Prodi è una grande risorsa. E mi pare bello e giusto che il presidente del Consiglio abbia voluto ascoltarlo". Alla domanda se durante l'incontro si sia discusso anche di Quirinale, Delrio ha glissato: "Abbiamo parlato dei problemi del paese, dell’Europa e delle cose internazionali, quindi no problem". Bocche cucite, quindi, sul tema specifico del Quirinale.
Di sicuro Renzi, grazie a Delrio - grande amico del Professore - avrà tastato il terreno per cercare di capire le intenzioni dell’ex presidente del Consiglio, prima di dare il via alle grandi manovre dentro il Pd e con gli altri partiti. Un semaforo verde o un "no grazie" del professore era necessario prima di iniziare la grande partita a scacchi che, dai tempi di Einaudi contraddistingue l'elezione del Capo dello Stato. Renzi ha voluto mandare un segnale preciso alla minoranza Pd: se c'è da parlare con il Professore e chiedergli qualcosa, lo faccio io, nessuno pensi di gettarlo nella mischia contro di me. In tal senso quello di lunedi sarebbe stato, dunque, un colloquio volto a mettere le mani avanti ed evitare manovre di disturbo interne. Che Prodi abbia intenzione o meno di salire al Colle poco importa. Renzi vuole avere le mani libere e non può tollerare scherzetti di questo genere da parte dei parlamentari Pd a lui non particolarmente devoti. E manda un messaggio (vediamo se sarà accolto o meno) anche a Berlusconi: non voglio veti. Lasciando intendere che, se vuole, può far eleggere Prodi anche da solo (ma gli servono i voti M5S).
Renzi desidera portare in porto le riforme con Berlusconi e, al contempo, evitare fratture dentro il Pd. Ha paura di fare passi falsi e che si possa ripetere il caos del 2013, con ben due nomi bruciati: quello di Marini e soprattutto quello di Prodi. Indubbiamente il nome del Professore piace al Pd (specie alla minoranza, ma non solo), al Sel e ad una parte del M5S. Ma Renzi sa bene che la "carta Prodi" vorrebbe dire mandare in soffitta una volta per tutte il Patto del Nazareno, stretto un anno fa con il leader di Forza Italia. Che fare, dunque?
Secondo i bene informati Prodi ha detto a Renzi di non vedere il Quirinale nei suoi programmi futuri (memore della "bastonata" dell'anno scorso) e di essere consapevole di avere poche chance. Ma come fanno notare alcune fonti parlamentari, il Professore avrebbe fatto presente che non può impedire che il suo nome venga avanzato da amici e sponsor politici. Insomma, se si trovasse la giusta convergenza la candidatura del fondatore dell'Ulivo potrebbe farsi strada nel Parlamento riunito in seduta comune. E Prodi coronerebbe così, con la massima carica istituzionale, la propria parabola politica. Questo avrebbe un'immediata conseguenza (e Renzi non può ignorarlo): si tornerebbe alle urne dà lì a poco senza aver cambiato la legge elettorale. Un bel pasticcio, insomma. A meno che nel frattempo non nasca una diversa maggioranza che, sospinto Prodi sul Colle, scriva in tempi rapidi un nuovo sistema di voto con cui gli italiani possano scegliere (finalmente) chi deve governare il Paese.
Il toto-Quirinale
Intanto, con Napolitano ancora ben saldo al Quirinale, ma in procinto di lasciare (con la fine del semestre europeo a guida italiana darà le dimissioni), impazza il toto-Quirinale. Nelle lodi sperticate che il Capo dello Stato ha fatto lunedi al ministro Pier Carlo Padoan, qualcuno legge una chiara indicazione di voto: "Molto hanno contato (in Europa, ndr) il valore e l'affidabilità che si riconoscono al ministro Padoan". Se non è un endorsement poco ci manca. Ad ascoltare il Presidente ieri c'erano tutte le massime cariche dello Stato. Tra loro potrebbe esserci il futuro inquilino del Colle. Tra i papabili ricordiamo il presidente del Senato Pietro Grasso, il ministro della Difesa Roberta Pinotti e quello degli Esteri Paolo Gentiloni. Nel salone delle feste del Quirinale si sono visti anche Bersani, D'Alema e Amato, il cui nome spunta sempre fuori ogni volta che c'è da eleggere il Presidente. Il Fatto quotidiano tira fuori dal cilindro un nome "bipartisan" che potrebbe piacere a buona parte dei democratici e non dispiacere a Berlusconi: l'ex ministro della Giustizia Paola Severino. Secondo quanto viene riferito da fonti parlamentari Berlusconi avrebbe detto questo ai senatori azzurri: sulla successione al presidente della Repubblica abbiamo la parola che saremo coinvolti. In altre parole vuol dire questo: il Pd dovrà proporre un nome che abbia l'assenso di Forza Italia. E nell'intesa di massima tra gli azzurri e i democratici ci sarebbe anche un compromesso sull’Italicum, con l’entrata in vigore della riforma della legge elettorale a giugno 2016.
538em;">Vedremo alla fine chi la spunterà, diventando il dodicesimo presidente della Repubblica. Una cosa è certa: a moltissimi italiani piacerebbe dire la propria eleggendo il Capo dello Stato. Chissà se, prima o poi, arriverà questa riforma in grado di avvicinare il popolo alle istituzioni.
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