La chiamano operazione «torna a casa, Lassie!», dal titolo di una famosa serie tv di alcuni decenni fa. Almeno sul versante del centrodestra. Su quello di centrosinistra, magari il nome sarà diverso. In comune, però, entrambe hanno un'esigenza urgente da soddisfare in questo scorcio finale di legislatura, cioè rendere l'attuale Parlamento più corrispondente al reale peso che le diverse forze politiche hanno nel Paese. Ci sono le anime centriste - da Ncd agli orfani di Monti - che nelle Camere, ad esempio, hanno un peso sopravvalutato rispetto alle percentuali «uno virgola», o, peggio ancora, «zero virgola», che riscuotono tra gli elettori. E un discorso simile si può anche fare per i tanti gruppuscoli che animano il dibattito a sinistra dopo la scissione del Pd. Eppure questi «soggetti virtuali» sul piano elettorale, ma presenti ancora nelle istituzioni, possono avere un'influenza non indifferente su scelte importanti.
L'intoppo che due settimane fa ha bloccato l'esame parlamentare della legge elettorale che avrebbe dovuto introdurre in Italia un sistema sul modello tedesco, ne è una prova. E sarebbe addirittura paradossale che una legge che implica una mezza rivoluzione come lo ius soli, sia approvata per l'apporto decisivo di partiti (vedi, appunto, Ncd) ormai quasi inesistenti nella realtà italiana. O, ancora peggio, che si ripeta ciò che è accaduto sulla «manovrina» economica: Forza Italia ha chiuso un occhio per evitare una crisi di governo, che avrebbe trovato il Paese privo di una legge elettorale adeguata per andare al voto; ma non ha potuto condizionare per nulla un provvedimento come il nuovo processo penale del ministro Orlando, inutile e nocivo.
Appunto, contraddizioni. Così la settimana scorsa il Cavaliere ha ribaltato una strategia che lo vedeva finora poco propenso ad aprire le porte del partito a chi, per ragioni diverse, aveva scelto altre strade. «Naturalmente - ha spiegato ai suoi colonnelli - daremo asilo alle seconde e terze file, non certo a chi ci ha abbandonato per una poltrona». Un messaggio rivolto, soprattutto, ad Alfano e ai suoi accoliti, che avevano festeggiato la rottura dell'intesa sulla legge elettorale che introduceva una soglia di sbarramento del 5%. E l'operazione potrebbe avere numeri grandi se si tiene conto del disorientamento che regna tra i centristi: per ora sono arrivati l'ex fittiano Rocco Palese e l'ex montiano Andrea Causin (oltre all'ex grillina Labriola), ma si parla di 10-20 deputati (di cui tre già nei prossimi giorni) e di più di una decina di senatori in procinto di passare a Forza Italia.
Anzi, potenzialmente, potrebbero essere molti di più: tutto dipenderà dalla voglia che Berlusconi avrà di aprire, tanto o poco, la porta. «Io sono newtoniano - teorizza Brunetta -: anche in politica se si aumenta la massa, aumenta il campo di attrazione gravitazionale di un partito».
L'obiettivo prioritario è proprio quello di aumentare il peso del partito nella trattativa sulla legge elettorale e fiaccare la resistenza dei «centristi». In pratica si tratta del primo passo per rilanciare l'ipotesi di una legge proporzionale sul modello tedesco. Uscita dalla porta, ora il Cav tenterà di farla rientrare dalla finestra. Inoltre gruppi parlamentari più numerosi darebbero a Forza Italia la possibilità di condizionare non poco l'agenda politica di questi ultimi mesi di legislatura. «Continuo ad essere convinto - ha spiegato il Cav al suo stato maggiore, la scorsa settimana, all'indomani del voto amministrativo - che una legge elettorale proporzionale sia in questo momento la più adatta al nostro Paese. Un sistema maggioritario, in uno scenario che continua ad essere tripolare, si porta dietro, infatti, il rischio di un Parlamento non rappresentativo».
Un ragionamento che Berlusconi dovrà fare con una certa schiettezza anche a chi, tra i suoi, continua a vagheggiare il maggioritario e le coalizioni, come il capogruppo dei senatori Paolo Romani o Gaetano Quagliarello. «Inutile perdere tempo - ha spiegato - o c'è il modello tedesco; o il Consultellum che a me proprio non piace». Inoltre quel tornare a parlare di «coalizioni» sull'onda di un «bipolarismo» tutto da inventare, ha messo una pulce nell'orecchio del Cav: il maggioritario si porta dietro l'indicazione di una premiership e, visti i rapporti non certo idilliaci con Salvini, potrebbe essere il modo, fin troppo scoperto, per ratificare nuove gerarchie nel centro-destra.
La stessa pulce, probabilmente, è finita anche nell'orecchio di Renzi, a cui il movimentismo dei vari Prodi, Letta, Orlando, Bersani sul tema della coalizione, somiglia tanto ad un inedito «Matteo, stai sereno!». «Il loro obiettivo - ha spiegato ai suoi - è sempre il solito: logorarmi». Anche da queste parti, infatti, è quasi ovvio che una coalizione che metta insieme le diverse anime del centrosinistra, ha come presupposto una premiership diversa da quella di Renzi, cioè del segretario che - secondo gli avversari - ha provocato la scissione del Pd. Ecco perché sulla bocca di Renzi riecheggiano molte delle analisi del Cav: «Le analisi sul ritorno del bipolarismo - è il ragionamento che ha fatto con i suoi - mi sembrano superficiali».
Argomento che gli offre spunti per difendere il dialogo con Berlusconi anche con un personaggio come Prodi. «Caro Romano - gli ha spiegato nell'incontro della settimana scorsa, sfoggiando l'intero vocabolario dei sistemi elettorali - posso parlare del Tedeschellum, posso accettare come dato di fatto il Consultellum, ma non mi chiedete di riproporre il Rosatellum, cioè il Mattarellum modificato, perché io non posso fare una legge contro Berlusconi dopo aver raggiunto appena due settimane fa un'intesa con lui e con gli altri. Non fosse altro per una questione di serietà». Quindi, anche per Renzi ci sono solo il proporzionale tedesco o il Consultellum. Tutto dipenderà dai risultati dell'operazione «torna a casa, Lassie!» del Cav.
Anche su questo terreno il segretario del Pd, comunque, sta facendo la sua parte: sta attirando nella sua orbita personalità centriste, ex-leghisti come Tosi, liberali come Calenda, ex dc come Pisicchio o ex-montiani come Zanetti. Inoltre ha tolto ogni sponda ad Alfano, lasciandolo alla mercè del Cav. «Io - riporta in proposito la rubrica di Keyser Söze su Panorama di questa settimana - sono un convinto assertore di un motto di John Fitzgerald Kennedy: i nemici si perdonano, ma non dimenticare mai i loro nomi. E io, che vado oltre Kennedy, i loro nomi li ho tatuati in una parte molto sensibile del corpo...».
E per essere ancor più convincente il segretario del Pd ha pronunciato una profezia davanti ai suoi: «Con me Alfano non tornerà mai al governo. Né lui, né la sua progenie futura». Del resto il segretario di Ncd negli ultimi tempi si è mosso spesso in sintonia con i nemici dell'ex premier: mentre Renzi avrebbe voluto votare prima della legge di Stabilità, per non mettere sulle spalle del Pd la responsabilità di una manovra economica complessa prima delle elezioni, Alfano ha fatto di tutto per scongiurare le urne. Insomma, ha dato il suo contributo per logorare la leadership del segretario del Pd.
«Questi, però, dimenticano - è stata la confidenza a cui Renzi si è lasciato
andare tempo fa, tra il serio e il faceto, con un amico - che io alla fine una via d'uscita ce l'ho: non mi vogliono a Palazzo Chigi? Beh, posso sempre candidare Gentiloni o mostrarmi disponibile ad una sua candidatura».
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