Quattrocentosessantaquattro stupri in due anni sulle vetture di Uber, il servizio di trasporto automobilistico a metà tra un taxi e un noleggio con conducente. È il dato che salta più all'occhio del rapporto sulla sicurezza che la piattaforma, nata dieci anni fa, ha reso pubblico ieri. Nelle 84 pagine sono riportati nel dettaglio gli incidenti più gravi che hanno coinvolto gli utenti dell'app - aggressioni sessuali, incidenti mortali, omicidi - tra 2017 e 2018 negli Stati Uniti. Dati molto attesi visto il modello di business della società, che nella sua versione più diffusa (illegale in Italia dal 2015) permette a chiunque abbia più di 21 anni, la patente da almeno un anno e una fedina penale consona di trasformarsi in un autista.
Dopo quasi due anni di indagini, nella convinzione che «le persone abbiano il diritto di conoscere lo stato di sicurezza delle aziende a cui si affidano tutti i giorni», Uber ha deciso di rendere pubbliche le informazioni relative ai 2,3 miliardi di corse gestiti su suolo americano nei due anni presi in esame (sollecitando le piattaforme concorrenti a fare altrettanto). Nel capitolo dedicato alle aggressioni a sfondo sessuale emerge come Uber abbia ricevuto tra 2017 e 2018 5.981 segnalazioni di abusi, compiuti e denunciati in egual modo da conducenti e passeggeri. Tra questi si contano 464 stupri (229 nel 2017 e 235 nel 2018). Tali cifre si riferiscono solo agli episodi denunciati: i numeri effettivi potrebbero essere superiori. Altra sezione del report riguarda i decessi: in due anni 107 persone sono rimaste uccise nel corso di 97 incidenti stradali, quasi tutti concentrati nelle aree urbane. E 19 sono stati gli omicidi in cui almeno una delle persone coinvolte stava usando Uber, oppure accaduti entro le 48 ore dal viaggio tra soggetti conosciutisi attraverso la piattaforma.
Tuttavia, si legge nel report, il 99,9% delle corse si è concluso senza incidenti. E le cifre di cui sopra, sottolinea la società, sono tutte sotto la media americana. Quella relativa agli incidenti mortali, per esempio, è dimezzata rispetto alle statistiche nazionali. Ma non per questo quei dati vanno presi meno seriamente. «Sono numeri che scuotono, difficili da mandare giù», ha commentato con il New York Times Tony West, a capo dell'ufficio legale di Uber. Più pragmatico l'amministratore delegato, Dara Khosrowshani, secondo cui «molte persone si sorprenderanno per quanto rari questi incidenti sono, mentre altri giustamente penseranno che sono ancora troppo frequenti».
Intanto la piattaforma ha annunciato che rafforzerà le sue misure di sicurezza. Come prima cosa nel 2020 tutti i conducenti attivi sull'app saranno tenuti a seguire corsi di formazione sulle aggressioni sessuali (che Uber organizzerà in partnership con Rainn, la più grande organizzazione statunitense contro la violenza sessuale). La società inizierà anche a condividere con le piattaforme concorrenti i nomi degli autisti protagonisti di abusi gravi. Altra novità è che, in alcune città selezionate, gli utenti potranno non solo chiamare direttamente dall'app il 911 (il nostro 118) ma potranno anche messaggiarci in modo da essere più discreti nell'allertare le forze dell'ordine per un'eventuale emergenza.
Perché se è vero che Uber «riflette la società in cui opera», come ha detto ieri West, è vero anche che i dubbi sulla sua sicurezza sono stati recentemente anche alla base della decisione dell'azienda responsabile dei trasporti pubblici di Londra di revocarle la licenza per la seconda volta in tre anni. Inaccettabile per le autorità londinesi il fatto che 14mila corse siano state eseguite nella metropoli da conducenti non autorizzati dall'app e potenzialmente non assicurati.
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