Il Pd vuole imitare i grillini e si spacca sull'alleanza

Gli zingarettiani attaccano Franceschini sul peso delle correnti. La disputa è sempre sul campo largo

Il Pd vuole imitare i grillini e si spacca sull'alleanza

La decantata «pacificazione» interna al Partito Democratico - sempre nel caso in cui sia mai stata effettiva - non esiste più. Anche il campo largo sembra vivere fasi pre-incendiarie. L'innesco è posizionato in casa del Pd che risulta spaccato a metà sul da farsi con i grillini. La detonazione, soprattutto dopo la scissione di Luigi Di Maio e la nascita di «Insieme per il Futuro», è però attesa sul lato grillino di «campo»: qualora Giuseppe Conte dovesse uscire dal governo, l'alleanza con i Dem terminerebbe all'istante.

Per ora la strategia del Movimento, con le continue richieste mosse a Draghi, costringe il Pd, e magari persino il segretario Enrico Letta, a ragionare di nuovi schemi in vista delle politiche. Per comprendere il quadro, conviene focalizzarsi su cosa accade dalle parti del Nazareno. È bastato che durante la convention di Area Dem venisse rievocata quella parola: «Correnti». Il risultato è stato una slavina di batti e ribatti.

Dario Franceschini ha aperto il sipario. «Mi dispiace - ha detto in un ragionamento più amplio in cui ha ribadito la necessità che il M5S non abbandoni l'esecutivo in carica - che un segretario nazionale se ne sia andato denunciando il mal delle correnti, ma capita di sbagliare». La replica degli uomini di Nicola Zingaretti - l'ex segretario a cui il ministro della Cultura si è riferito - non si è fatta attendere: «Ingenerosa e fuorviante questa ricostruzione. Le correnti attuali del Pd sono correnti nominali, senza politica e mi permetto di dire senza più storia. Non sono più le correnti valoriali di un tempo.. servono solo alla distribuzione e all'occupazione di postazioni. Quel segretario, caro Dario, se ne andò denunciando questa degenerazione», ha tuonato Marco Miccoli, zingarettiano di ferro che siede nella Direzione nazionale. Si è trattato del più classico ping-pong tra esponenti che fanno parte dello stesso partito ma in maniera diversificata: com'è tipico delle correnti, appunto.

Dopo il primo atto, è arrivato anche il resto dello spettacolo. Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna, ha preso le parti di Franceschini, mentre il senatore Andrea Marcucci, parlando del caso con il Giornale, ha fatto presente quanto segue: «È naturale che io sia d'accordo con Franceschini. Le aree, quando sono un luogo di confronto sulle idee, sono una ricchezza per il Pd». E ancora: «Ho sempre diffidato di chi le addita come fonte di ogni male...». Per gli zingarettiani ci ha pensato il vicesegretario del Pd del Lazio Enzo Foschi a rincarare la dose: «Le correnti di oggi con il pluralismo delle idee non c'entrano nulla». Il convitato di pietra di questa storia - come premesso - è il rapporto tra i Dem ed i pentastellati.

La conditio sine qua non posta da Franceschini, e non solo dal ministro, è che il Movimento resti dove si trova in questo momento: nella maggioranza del governo Draghi. Altrimenti verrà l'ora dei saluti automatici. Non la pensano così gli ex diessini che si sono raggruppati attorno a Zingaretti, che con il M5S governano la Regione Lazio, che avrebbero tentato ogni strada per un Conte ter e che hanno bisogno del modello giallorosso per una serie di ragioni, tra cui provare a riconquistare la Pisana.

In sintesi: il Pd, che ha passato un anno a predicare la necessità di allargare la coalizione il più possibile, non riesce a trovare la quadra al suo interno. Non un buon viatico per chi dovrebbe guidare il cosiddetto «campo largo» alle prossime elezioni.

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