Gli esperti di veleni pontifici a orologeria non avrebbero potuto fare di meglio. La regia è stata eccellente. Non è un caso infatti, che la bomba sganciata da monsignor Carlo Maria Viganò contro il Papa arrivi nel pieno della bufera pedofilia, con Francesco che da giorni ormai continua a implorare perdono per gli errori e il fallimento della Chiesa sul tema degli abusi su minori.
L'ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, con una «testimonianza» lunga dieci pagine, ha sparato a zero contro mezza Curia Romana (della vecchia e della nuova guardia) accusando cardinali e monsignori di aver coperto le schifezze di Theodore McCarrick, l'88enne arcivescovo emerito di Washington che lo scorso luglio ha presentato la rinuncia come membro del collegio cardinalizio (rinuncia subito accettata da Bergoglio), dopo l'esplosione dello scandalo pedofilia in Pennsylvania, con oltre 300 preti coinvolti. Non solo: monsignor Viganò ha accusato altri ecclesiastici di rango di essere omosessuali e di aver avallato nomine di altri omosessuali e infine il colpo da maestro: «Avevo informato Papa Francesco nel 2013 del dossier su McCarrick - scrive il nunzio in pensione - ma lui cambiò discorso: adesso sia il primo a dare il buon esempio a cardinali e vescovi che hanno coperto gli abusi di McCarrick e si dimetta insieme a tutti loro». Francesco quindi, a dire di Viganò, sapeva già cinque anni fa dello scandalo McCarrick e non avrebbe preso provvedimenti perché, sempre secondo il monsignore originario di Varese, Francesco sarebbe molto amico dell'ex cardinale americano. Sullo sfondo, sembra chiaro che si sia rimessa in moto la macchina del fango, quella che vorrebbe subito le dimissioni del Papa argentino. La cordata di ecclesiastici (americani e non) intenzionati a far cadere Francesco è la stessa che da anni prova a colpire il Pontefice sulle sue posizioni considerate troppo progressiste. E Viganò è solo una pedina del sistema che è già in movimento per un dopo Bergoglio più conservatore. E se l'obiettivo oggi è «il Papa se ne vada», non è un caso nemmeno il fatto che diversi mesi fa fu Francesco a dire: «Monsignor Viganò se ne vada».
Dopo il ritorno dagli Stati Uniti, nel 2016, infatti, l'arcivescovo accusatore si era trasferito nel suo appartamento da 250 metri quadrati all'interno della Città del Vaticano. Appartamento che durante il servizio diplomatico all'estero non aveva lasciato (come avrebbe dovuto) ma che era riuscito a tenere in suo possesso, come scriveva il Giornale già nel 2013. Qualche mese fa però Bergoglio aveva dato il foglio di via definitivo al monsignore. Non solo dalla Città del Vaticano. L'Apsa (l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) che gestisce tutti gli immobili della Santa Sede, aveva trovato per il nunzio a riposo una nuova sistemazione a Roma, ma Francesco aveva fatto sapere che sarebbe stato meglio un rientro nella diocesi d'appartenenza.
I meglio informati sanno quanto Viganò ci sia rimasto male, anche perché, già dai tempi del primo Vatileaks, il monsignore sognava, non è un mistero, una carriera in Curia con la nomina a presidente del Governatorato Vaticano e a cardinale. Non ha avuto né l'una né l'altra, soprattutto per volere di Bergoglio. «Monsignor Viganò da tempo aveva in animo di vendicarsi e oggi l'ha fatto contravvenendo ai suoi doveri. Aspettavamo una sua reazione all'allontanamento dalla Curia», rivela uno stretto collaboratore del Papa.
Di certo c'è però che se come dice Viganò, Papa Francesco è colpevole d'insabbiamento, lui sarebbe colpevole allo stesso modo: ha taciuto sulla faccenda McCarrick e sulla presunta posizione del Papa per cinque anni, attendendo che esplodesse lo scandalo, così da poter infierire sul Pontefice. La sua testimonianza, che andrà ovviamente verificata, non sembra essere del tutto disinteressata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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