Rebus lavoro per il decreto Sostegni bis la cui approvazione in Consiglio dei ministri è slittata all'inizio della prossima settimana. Da una parte le organizzazioni sindacali (Cisl in primis) sono tornate a chiedere una proroga generalizzata del blocco dei licenziamenti fino al 31 ottobre e non al 30 giugno.
Dall'altro lato, i rappresentanti dei lavoratori esprimono forti dubbi sull'utilità di abbassare la soglia dei contratti di espansione alle aziende con oltre 100 dipendenti (la legge di Bilancio aveva portato solo per il 2021 il tetto da 1.000 a 250). «È troppo costoso per le aziende o, se si anticipa di solo due anni, poco conveniente per i lavoratori», ha dichiarato il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli. Il contratto di espansione, infatti, consente il pensionamento anticipato di 5 anni sia di vecchiaia che di anzianità a fronte della corresponsione di un'indennità mensile equivalente al trattamento pensionistico dal quale si possono recuperare due anni di Naspi. Nel caso della pensione di anzianità, però, l'azienda è tenuta a versare anche gli anni di contribuzione mancanti al raggiungimento del minimo di 42 anni e 10 mesi. Secondo la Uil, per far «uscire» con 5 anni di anticipo un lavoratore con retribuzione di 30.000 euro e una pensione lorda maturata di 1.327 euro l'azienda paga, al netto della Naspi, 61mila euro nel caso di pensione di vecchiaia e oltre 93mila per la pensione anticipata. Si comprende bene che questo «scivolo» sia utile per le grandi imprese (o per le banche che hanno istituito un fondo di settore per gestire gli esuberi), ma non per una media impresa.
Questa situazione rischia di far fallire il contratto di reimpiego ideato dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e che dovrebbe trovare spazio proprio nel dl Sostegni bis garantendo sei mesi di sgravi contributivi per l'assunzione a tempo indeterminato di lavoratori disoccupati o in cassa integrazione (idem per le aziende dei settori in crisi che non licenziano). Il costo elevato del contratto di espansione rischia di impedire, perciò, il turnover ancorché il nuovo sgravio sia cumulabile con quelli già in essere (Sud, giovani e donne). Dunque dal primo luglio il rischio è quello di una grandinata di licenziamenti economici vista la mancanza di alternative alla cassa integrazione. La riforma degli ammortizzatori dovrebbe essere varata in autunno e partire dal 2022 sotto forma di Naspi generalizzata (sussidio biennale) e rafforzamento della formazione finalizzata a trovare nuovi sbocchi.
«Secondo fonti governative ci sono 500mila lavoratori a rischio nel 2021, che andrebbero ad aggiungersi al milione di disoccupati dell'ultimo anno», ha detto il segretario Cisl, Luigi
Sbarra chiedendo la proroga del blocco dei licenziamenti. Ma il ministro Orlando, per ora, non cede. «Credo sia più utile concentrarsi sulle situazioni di maggior sofferenza e orientare là le risorse», ha tagliato corto.
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