Petrolio, gas e trasporti: torna l'incubo inflazione

Il blitz nello Yemen fa volare il greggio (+4%), Suez e Panama preoccupano. Il rischio di una nuova impennata di prezzi e tassi

Petrolio, gas e trasporti: torna l'incubo inflazione
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Angela Stefania Bergantino, docente all'Università di Bari e analista dell'Ispi, parla di una possibile «tempesta perfetta del commercio globale». Perchè il blocco dei traffici nel Mar Rosso legato al nuovo focolaio di guerra rischia di avere conseguenze pesanti. Dal Canale di Suez, ormai di fatto sbarrato, passa il 12% del traffico di merci planetario e il 30% dei container, per un valore complessivo di 1 trilione di dollari. Lungo la rotta, diventata ancora più centrale dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, transitano 80 milioni di tonnellate di grano all'anno e 7 milioni di barili di petrolio al giorno. E non a caso proprio il petrolio è stato il primo a reagire agli attacchi: il prezzo è aumentato del 4% in meno di 24 ore.

Gli effetti, anche psicologici, degli eventi nello Yemen sono amplificati da quanto sta accadendo a migliaia di chilometri di distanza, in un altro continente, e precisamente a Panama. Qui il Canale, che consente di passare dall'Atlantico al Pacifico e che funziona con un complicato sistema di chiuse, sta conoscendo una situazione di siccità mai vista. Le autorità sono state costrette a ridurre il traffico di circa il 40%, con la conseguenza che si sono fermate code lunghissime di navi da entrambi i lati dello stretto. Chi vuole saltare la fila può comprare in asta il diritto di precedenza: in novembre il prezzo ha raggiunto i 4 milioni di dollari, oggi vale circa 1,7 milioni. Un'altra area centrale nel commercio globale, il Mare della Cina, vive da tempo sotto la minaccia delle tensioni tra Pechino e Taiwan.

Il risultato sono ritardi nelle consegne in tutto il mondo, diminuzione del traffico commerciale, aumento nei costi di noli e assicurazioni, che potrebbero essere trasferiti ai consumatori. In pochi giorni il prezzo di una polizza per coprire un carico nel Mar Rosso è aumentato fino a 10 volte. «La situazione rievoca ricordi dolorosi», sostiene David Rees, analista della banca d'affari Schroders. «I problemi della catena di approvvigionamento scoppiati durante il Covid. Sono stati loro a contribuire all'aumento dell'inflazione, che, da ultimo, ha costretto le banche centrali mondiali a rialzare severamente i tassi d'interesse». Ora ci si attende una serie di ribassi, più o meno aggressivi. Ma quello che sta accadendo, conclude minacciosamente Rees, «porta a chiedersi se i nuovi problemi delle catene di approvvigionamento implicheranno un aumento dell'inflazione, costringendo i banchieri a rivedere le previsioni».

Dichiarazioni estremamente allarmanti arrivano dalla Confindustria tedesca (la Germania è uno dei Paesi più profondamente integrati nel commercio globale) che prevede problemi per l'intero sistema produttivo. Tesla ha già annunciato che il suo unico stabilimento europeo, dalle parti di Berlino, fermerà gli stabilimenti per due settimane, tra il 29 gennaio e l'11 febbraio, per il mancato arrivo di alcuni componenti elettronici.

In Italia il presidente di Assarmatori, Stefano Messina invita alla calma: «Allo stato attuale l'impatto economico dell'escalation nel Mar Rosso e nello Stretto di Hormuz ha prodotto per il sistema-Italia effetti al momento contenuti». Anche se ammette: «Navighiamo a vista, un'emergenza di questa magnitudo in atto rende impossibile qualsiasi previsione».

Quanto ai colossi tra gli armatori internazionale chi non ha fermato il

traffico, ha già deciso di cambiare il percorso delle flotte: la danese Maersk con altre 17 compagnie ha deciso di puntare sul Capo di Buona Speranza (Africa del Sud): per raggiungere l'Europa due settimane e 3.200 miglia in più.

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