“Destra è un termine espresso dalla Rivoluzione Francese e strettamente connesso alla democrazia parlamentare e personalmente lo rigetto. Preferisco parlare di cultura reazionaria che si nutre di una nostalgia del mondo e che oggi non esiste più”. Gabriele Adinolfi, uno dei fondatori, alla fine degli anni ’70, del movimento politico Terza Posizione, ci tiene a mettere subito le cose in chiaro. Oggi Adinolfi dirige il Centro Studi Polaris, un think tank dove poter esprimere “un pensiero non astratto "armato", in condizioni cioè di agire, in sinergia o in dialettica con le élites della nazione”.
Ilgiornale.it lo ha intervistato per capire in che direzione sta andando oggi la destra italiana, sconvolta da un lato dal caso di Mafia Capitale e dall’ascesa di Matteo Salvini.
Come e quando è nata la sua passione politica?
Nel 1968, ribelle alla società borghese, ma dall’alto (perché non era né aristocratica, né doverosa né responsabile), non dal basso come faceva la sinistra (perché troppo autoritaria). Loro volevano uccidere anche l’idea del Padre, io e non solo io, volevamo imporre il Padre a chi ne era soltanto una caricatura. Purtroppo prevalsero loro e oggi il maschio è un cappone".
Quali libri e autori hanno maggiormente influenzato la sua formazione politica?
"Sicuramente Così parlò Zarathustra, Julius Evola con Cavalcare la tigre e Gli uomini e le rovine ma anche Adriano Romualdi con Su Evola, Le ultime ore dell’Europa ha avuto un peso e uno spessore non da poco nella mia formazione. Ci sono, poi, le epopee di guerra che vanno dal Diario di uno squadrista toscano di Piazzesi a Mourir à Berlin di Mabir, tutti gli scritti di Degrelle sul Fronte dell’Est, i diari e le memorie di Balbo, Romualdi, Farinacci e Goebbels, ma ho letto anche molto di Mishima. Quindi mi sono dedicato alle letture più tecniche come Sorel, Lenin, Alvi e de Benoist, agli storici greci antichi, al teatro di Anouilh, Guitry, Pirandello e perfino di Gaber e alla letteratura francese da Balzac a Blondin, da Drieu La Rochelle a Bardèche.
Oggi chi rappresenta meglio la cultura di destra?
"Tutti mi sembrano così programmati nella cultura atomizzata dell’ultimo uomo nicciano saltellante come una pulce che perfino quando pensano di cantare fuori dal coro sono omologatissimi. Il fatto che si sentano differenti non li rende differenti".
Crede che i valori di “destra” trovino rappresentanza politica nei leader attuali come Matteo Salvini e Marine Le Pen?
"Le Rivoluzioni Nazionali furono tutte compiute da uomini che non venivano da destra e persino Franco nacque progressista. Si trattò di interpretare la sana psicologia reazionaria del popolo per darle un indirizzo rivoluzionario che fu moderno, innovatore ma anti-progressista. Tutto questo oggi manca. Salvini è un buon capopopolo ma mi sembra che accanto al suo genio tattico non ci sia una strategia di ampio raggio né una vera e propria Idea del Mondo. Queste sono entrambe necessarie e devono per forza intervenire altrimenti si corre a vuoto. In quanto a Marine Le Pen sono particolarmente addentro alle cose francesi per dire che rimpiango Jean-Marie. Lei andrà lontano sì, ma anche Fini lo fece. Molto meglio vedo Alba Dorata in Grecia".
A proposito di valori e di politici, si è mai sentito rappresentato da chi in questi vent'anni ha guidato la destra, soprattutto a Roma?
"Non sono mai stato così sciocco. Addirittura nel 2009 dissi che avrei preferito la Bonino alla Polverini. Ciò detto e senza voler salvare nessuno, in particolare Gianni Alemanno che a mio parere è stato il peggior sindaco di Roma, sarebbe ora di mettere a fuoco la questione sullo scandalo romano che non è “di destra” ma riguarda soprattutto il Pd e l’associazionismo, vero e proprio parassita del momento, motore dell’immigrazione massiccia e causa delle guerre etniche tra i poveri.
Ha conosciuto Carminati? E cosa pensa della vicenda giudiziaria che lo riguarda?
"Non ho mai conosciuto né incontrato Carminati e non so granché di quel che è accaduto. Ho però l’impressione che il ruolo di Carminati sia stato gonfiato e trascinato un po’ per i capelli in questa faccenda perché la sua figura dà il dovuto colore e permette così di distrarre l’opinione pubblica dalla regolarità di un malgoverno che tutto è fuorché eccezionale".
Avrebbe mai immaginato che gente cha fece la lotta armata si sarebbe potuta mettere in affari con un uomo di sinistra come Buzzi?
"Non mi sorprende la trasversalità del consociativismo, essa è l’anima e la nervatura della democrazia. La democrazia, quantomeno quella delegata, è male in se stessa e i suoi comportamenti ne rispecchiano l’essenza. Che Buzzi sia di sinistra non significa nulla come nulla significa che Alemanno sia di destra. Siamo semplicemente in presenza di una caduta verticale che è dell’intera società italiana, ivi compresi quelli che si scandalizzano oggi ma facevano i cortigiani fino a ieri, sempre coerenti nella parte dei topi che abbandonano la nave che affonda.
Cosa ne pensa del fatto che i rom siano stati usati per fini politici e che abbiano influenzato, con il loro voto alle primarie, la scelta del candidato sindaco del Pd?
"Non è tanto questo a riempirmi di rabbia quanto il fatto che nessuno abbia sottolineato la frase che tutti i telegiornali hanno riportato “gli immigrati rendono più della droga”. E’ l’associazionismo assistenzialista la vera piaga. Per ogni immigrato queste organizzazioni “buoniste” si rimpinzano di denaro pubblico e non hanno alcuna remora nel causare disordini sociali né nel vendere la loro mamma a un nano.
Se c’è qualcuno che deve dare immediatamente le dimissioni per quello che è emerso a Roma e che nella sua gravità sociale va ben oltre le tangenti dei politici, quella è la Boldrini e non dovrebbe essere la sola. Tutte quelle associazioni e cooperative che lei tanto decanta dovrebbero essere chiuse immediatamente e bisognerebbe chiedere loro indietro tutto il denaro pubblico che hanno sprecato per creare disperazione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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