Il Nord è pronto. Senza vanificare la sicurezza sanitaria, le Regioni settentrionali vogliono farsi trovare preparate alla ripartenza e non hanno intenzione di sottostare alle miopi rivalse politiche che fanno capolino a sinistra.
Il governatore lombardo Attilio Fontana ieri ha annunciato il varo di un piano da 3 miliardi in tre anni, «tanto straordinario da non avere precedenti dal Dopoguerra». Il pacchetto, che «segnerà l'inizio della ripartenza», è stato portato in giunta ieri. Annunciati investimenti in opere pubbliche per 3 miliardi, con 400 milioni a disposizione di Comuni e province, oltre a fondi per gli operatori sanitari per 82 milioni e a un bonus da 10 milioni per le aziende che vogliano riconvertirsi in dispositivi anti-covid.
Anche il veneto Luca Zaia ha chiarito la sua idea di apertura, che non dovrà essere un inerte prolungamento dell'attesa, ma semmai un responsabile e sicuro ritorno al lavoro: una «fase di convivenza con il virus», ciò «che hanno fatto tutte le comunità che ci sono passate prima di noi». «Non è che se attendiamo una settimana, due o tre - ha avvertito - il virus se ne va». Lo stesso assessore lombardo al welfare, Giulio Gallera, ha chiarito che i posti di lavoro potranno trasformarsi in luoghi di monitoraggio della situazione sanitaria.
Oltre a varare il suo «Piano Marshall», Fontana ha risposto a muso duro a chi aveva evocato misure speciali di «chiusura» a danno dei lombardi, come il collega campano Vincenzo De Luca che aveva parlato di una quarantena per chi arriva da regioni «ad alto contagio» fino a immaginare una «riduzione del numero dei treni provenienti da quei territori» con «controlli rigorosi alle stazioni». Il presidente della Regione Lombardia si è pure tolto la soddisfazione di dare a De Luca una lezione: «Caro governatore - ha scritto - sappia che qualunque cosa accada noi non chiuderemo mai la porta ai 160mila italiani, tra cui circa 14mila campani, che ogni anno scelgono di venire in Lombardia per farsi curare».
Sulle improbabili «barricate» meridionaliste, lo stesso Zaia non si è fatto pregare. E per passare dal folklore ai dati, Zaia ha spiegato cosa ha fatto il Veneto per prevenire il contagio. «Bisogna vedere il dato ufficiale, secondo cui la Campania, che ha lo stesso numero di abitanti del Veneto, ha effettuato un quinto dei tamponi». All'assessore Gallera, che ha fatto presente una brusca verità - cioè che le misure lombarde hanno salvato il sud - la sottosegretaria Sandra Zampa ha voluto obiettare solo che il merito di aver chiuso andrebbe ascritto al governo (il quale però ha agito su forte pressione della Lombardia). La stessa Zampa ha anticipato che il piano governativo per ripartire è in arrivo, con un criterio di base: «Il governo fisserà una base, da lì in poi le Regioni possono stringere di più ma non allentare». Non distante dall'impostazione di Fontana, per cui un'apertura differenziata fra le Regioni sarebbe «un grosso rischio».
Nel centrosinistra volevano riaprire a fine febbraio. Oggi invece il più sensibile al tema riaperture è il leader di «Italia Viva» Matteo Renzi, che ha avvertito: «Una società non riparte se non ripartono le scuole», ma «bambini e ragazzi non possono essere tenuti dai nonni in questa fase». Renzi è arrivato perfino a dichiarare di sostenere con tutte le sue forze» il governatore toscano Enrico Rossi, pur di convincere le istituzioni che «questo è il momento di ripartire «non con i sussidi, non con l'assistenzialismo» ma «con il lavoro». E Zaia ha messo in guardia da chi colpevolizza le aziende: «Non passi l'idea che mettiamo a rischio la salute per il dio denaro, se la comunità scientifica dice che non si può' aprire non si apre». Quindi sicurezza e prudente riapertura.
«Una forma di equilibrio però dobbiamo trovarla» ha aggiunto, anche perché in Veneto «almeno il 40% delle aziende sono state aperte». E in ogni caso l'alternativa è «restare chiusi fino all'infinito, ovvero fino a quando il virus non sarà scomparso, il che significa mesi se non anni»
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