Il piano segreto di Renzi "Vedrete, sarà un Vietnam"

L’ex premier insiste con il voto anticipato e si prepara a mantenere la promessa: «Io non mi faccio rosolare»

Il piano segreto di Renzi "Vedrete, sarà un Vietnam"

S eduto sul suo scranno di Palazzo Madama, Luciano Pizzetti, uno degli esponenti di congiunzione tra il governo Gentiloni e il fu governo Renzi, disserta sul cupio dissolvi di ciò che resta dell’attuale legislatura.

Il punto di partenza è l’elezione del centrista-alfaniano, Salvatore Torrisi, alla presidenza della commissione Affari costituzionali del Senato a scapito del piddino Giorgio Pagliari: un’operazione che ha mandato su tutte le furie Matteo Renzi. Motivo? Nelle alchimie del Palazzo quella poltrona è strategica per chi vuole accelerare o rallentare il confronto sulla nuova legge elettorale e, quindi, la strada per le elezioni.

Pizzetti, rispetto agli altri renziani, e più distaccato. «Mi hanno detto che qualcuno di noi - osserva - vuole andare da Mattarella, magari per paventare una crisi di governo. Ma quello li accompagna alla porta. Come si fa a ventilare una crisi, quando oggi il governo incasserà un’altra fiducia. Dobbiamo essere lineari. Renzi ha ragione quando dice che questo Parlamento non ha nulla da dire, che ha perso la sua spinta propulsiva oltre ad essere figlio di una legge elettorale incostituzionale. Ma la questione va posta in termini politici. È meglio andare avanti per inerzia, magari prendendosi la responsabilità di una legge di stabilità lacrime e sangue? O andare al voto? Io penso che la strada obbligata sia la seconda. Ma la questione va posta dopo il 30 aprile, dopo le primarie del Pd».

Com’è sua abitudine Pizzetti è chiaro, quasi brutale, nelle sue analisi. Ma se, attraverso le sue lenti, leggi il «caos» di questi giorni, la situazione diventa più chiara, più comprensibile. Capisci, ad esempio, perché appoggiato ad una finestra della sala Italia di Palazzo Madama, proprio Torrisi deve sorbirsi una lunga telefonata di Alfano che, dall’altro capo del telefono, prima gli ordina e, poi, lo implora, di dimettersi dall’incarico «pomo della discordia» con Renzi: «Guarda Salvatore - è la sua ultima minaccia - ti prendi la responsabilità della crisi. Quello ci manda tutti a casa!».

Ma Torrisi ha la faccia poco convinta di chi ascolta una paternale ancor meno convincente. Tradotte in parole le espressioni, le smorfie che appaiono sul suo viso, sarebbero una lunga serie di «sì vabbè... sì vabbè». E, comunque, anche se il personaggio avesse qualche dubbio, intorno a lui, i compagni di partito, i «centristi» di ogni credo, sarebbero pronti a «bullonarlo» su quella poltrona. La logica? Sempre la solita. Quel posto, occupato con un blitz, deve trasformarsi in una casamatta per allungare i tempi dell’esame della legge elettorale e resistere ai tentativi di Renzi di puntare alle elezioni anticipate in autunno. La maggioranza che lo ha eletto, infatti, è la cartina di tornasole del partito del «non voto».

Sembra il bar di guerre stellari: un coacervo di motivazioni e di provenienze. Ci sono i «centristi» che, non sapendo dove accasarsi, farebbero carte false per moltiplicare gli anni della legislatura. I senatori di Forza Italia, che hanno condotto in porto l’operazione con la benedizione del Cav. Gli scissionisti del Pd, che hanno bisogno di tempo per organizzarsi. La sinistra estrema che, per dare un dispiacere a Renzi, sarebbe pronta a fare per due volte di seguito il pellegrinaggio al santuario di Santiago di Compostela. E, infine, i grillini, sempre pronti a gridare ai quattro venti la loro voglia di elezioni, ma ben consapevoli che affidare la loro ricandidatura ai programmi dei computer della Casaleggio Associati equivale a vincere la lotteria di Capodanno.

Le ragioni sono molteplici, ma l’obiettivo di fondo è uno solo: votare il più tardi possibile. «Renzi - osserva Paolo Naccarato, inventore del motto “vale la pena di vivere anche l’ultimo istante di questa legislatura” - rischia di far male a se stesso: con questa sua voglia di votare, perde autorevolezza anche verso il Quirinale. Qui non si rendono conto dei rischi che corriamo: basta guardare all’infiltrazione di esponenti della magistratura tra i grillini». Renato Brunetta, invece, la prende da un altro lato: «Renzi deve bere il suo amaro calice fino in fondo: dovrà votarsi da solo la legge di Stabilità che deve riparare ai suoi errori». Parole che riecheggiano sulla bocca dello «scissionista» Federico Fornaro: «Renzi tenterà fino alla fine di andare al voto anticipato, ma non ce la farà. Se noi di Articolo 1 voteremo la legge di Stabilità? Dipende da cosa ci sarà dentro...».

E quella frase lasciata in sospeso, esprime la grande voglia che gli ex compagni di partito hanno di logorare l’«ex» e, probabilmente, anche prossimo segretario del Pd. Renzi tutte queste cose le sa. Ecco perché ci proverà e riproverà ad andare al voto nel prossimo autunno. Del resto non è la sua strategia di oggi. L’aveva in mente già quando si è insediato il governo Gentiloni, o è partita la corsa congressuale. Per lui è l’unica possibile, l’unica accettabile.

E il personaggio è testardo, non è tipo da cambiare opinione. «L’ho detto in tutte le salse - spiegava due mesi fa a tutti i suoi interlocutori - che per il partito sarebbe stato meglio andare alle urne in tempi brevi. Non mi hanno voluto ascoltare. Bene, ma non mi farò cuocere a fuoco lento. Sarà un Vietnam». Da allora altre cose sono successe, in peggio. Gli hanno toccato anche l’amico più fidato, Lotti, e il padre. «Non mi debbono toccare i miei» diceva due mesi fa, quasi immaginando il calvario cui andava incontro: «Quello che fanno a loro, lo fanno a me». Per cui i prossimi mesi sono già prevedibili con i propositi di allora: «Non mi faccio rosolare da chi ha maramaldeggiato sulla mia sconfitta. Andremo avanti per inerzia e, vedrete, non si combinerà nulla sulla legge elettorale. Vogliono andare a votare nel 2018? Ci andremo solo con due modifiche che chiede Mattarella: le preferenze di genere al Senato e un intervento sui quozienti».

La strategia è già

decisa. Manca solo il colpo di scena: l’offensiva del Tet dei Vietcong dietro le linee nemiche, seguendo il sentiero del Renzi-Ho Chi Minh. Ma quella per riuscire si deve sapere solo il giorno dopo. Ed ogni giorno è buono.

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