Il discorso di insediamento del neo-presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker è stato davvero poca cosa. Non ci si poteva aspettare diversamente, vista la sua storia e i suoi principali sponsor politici (Angela Merkel). Juncker ha annunciato di voler lanciare entro febbraio 2015 un piano di investimenti pubblici e privati di 300 miliardi di euro. Sette mesi e mezzo solo per preparare un piano. In confronto i nostri apparati decisionali sono delle schegge. Non solo. Ma se la Ue aveva già deciso un anno e mezzo un piano di investimenti fino a 180 miliardi in tre anni attraverso l'aumento di capitale della Bei, i 300 di cui parla Juncker sono aggiuntivi oppure li comprendono? Non sarebbe utile che questi denari fossero restituiti alla fonte ai cittadini e alle imprese con una potenziale riduzione del carico fiscale? Un discorso che sa di vecchio, di neo-keynesismo di risulta. Juncker si è dichiarato anche a favore dell'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie. Sentirselo dire da chi è stato a lungo premier del Lussemburgo sembra una barzelletta. Inutile spiegare per l'ennesima volta che se si scoraggia l'afflusso di capitale, gli investitori vanno altrove, e la Ue la ripresa non la vedrà neanche col binocolo.
Il discorso al Senato del presidente della Federal Reserve Janet Yellen lascia intravvedere un percorso di progressivo restringimento delle condizioni del credito. Se il mercato del lavoro continuerà a migliorare a un ritmo più veloce del previsto, i tassi di interesse negli Usa potrebbero tornare a salire prima e più velocemente di quanto programmato. Quindi anche l'economia Usa potrebbe rallentare la sua funzione di traino. I mercati finanziari sono in fibrillazione per la situazione critica in versano alcuni istituti di credito, dal Banco Espirito Santo in Portogallo a due importanti banche bulgare, con il rischio di innescare una nuova crisi del credito e finanziaria.
Gli agghiaccianti dati Eurostat sulla produzione industriale segnalano un crescente distacco tra economie forti ed economie deboli, mettendo ancor di più a serio repentaglio quello che ancora resta della capacità di tenuta dell'Europa nel medio termine. Dal governo solo annunci e belle parole. Sono passati 4 mesi e di grandi riforme non se ne vede l'ombra. Il debito pubblico è aumentato di circa 20 miliardi a maggio per il pagamenti alla Pa e il sostegno dei Paesi Ue in difficoltà. Ma quando si deciderà il nostro premier a fare il «ganassa» sugli eurobonds per evitare il ripetersi di situazioni di questo tipo?
Il problema del nostro Paese si risolve introducendo una ragionevole aliquota unica sui redditi, riducendo le imposte sugli immobili, ma soprattutto facendo fare mille passi indietro alla cosa pubblica.
È così difficile capirlo? Abbiamo sperimentato diversi esperti e commissari alla spending review con risultati nulli. Che non sia il tempo di riconsiderare i tanto vituperati tagli lineari alla spesa? #Matteodattiunamossa...Antonio Salvi
Preside facoltà di Economia
Università Lum Jean Monnet
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