Pil meglio del previsto Nel 2022 sale a +3,9%. Ma la crisi non è finita

L'Istat certifica una crescita superiore alle stime Nadef. Anche l'occupazione è a livelli record. Restano i rischi di una recessione tecnica: industria e consumi soffrono

Pil meglio del previsto Nel 2022 sale a +3,9%. Ma la crisi non è finita

I dati macroeconomici lasciano sperare in un 2023 meno drammatico di quanto ci si potesse attendere all'inizio di gennaio. Ieri l'Istat ha comunicato i dati preliminari del Pil 2022 che ha segnato una crescita media annua del 3,9% due decimi di punto percentuale sopra le stime della Nadef (+3,7%). Il Pil acquisito per l'anno in corso, cioè quello che si registrerebbe con quattro trimestri consecutivi di crescita nulla, è +0,4%, un effetto di trascinamento positivo che rende non impossibile il raggiungimento del target fissato dalla stessa Nadef (+0,6%).

Purtroppo, ci sono anche delle ombre. Nel quarto trimestre 2022 il prodotto interno lordo è diminuito dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti (+1,7% la variazione annua) segnando la prima flessione dopo due anni di crescita ininterrotta. Il calo, spiega l'Istat, è «la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell'agricoltura sia in quello dell'industria, mentre i servizi registrano una crescita». Dal lato della domanda, invece, «vi è un contributo negativo della componente nazionale e uno positivo della componente estera netta». Che cosa significhino questi concetti lo ha spiegato bene l'Ufficio studi di Confcommercio: la recessione assume toni molto moderati solo grazie alla crescita del terziario, mentre il rallentamento è innescato dalla frenata dei consumi. L'interpretazione della congiuntura, si legge in una nota, «non può che essere in chiaroscuro» perché il trascinamento del 2022 «suggerisce una crescita di almeno mezzo punto percentuale» nella media dell'anno in corso. Ma è proprio la frenata della domanda interna a delineare, prosegue Confcommercio, «un quadro economico per l'Italia contraddistinto da grande fragilità» con il primo trimestre che potrebbe essere caratterizzato ancora da un segno meno aprendo, perciò, a una fase di recessione tecnica.

In ogni caso, si può affermare che la linea prudente adottata dal ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, nell'ambito del quadro programmatico abbia ampiamente pagato. Ieri il Fondo monetario internazionale ha aggiornato il World economic outlook stimando che il Pil italiano crescerà dello 0,6% nel 2023 e dello 0,9% nel 2024. Le previsioni 2023 sono state riviste al rialzo (+0,8 punti rispetto al -0,2% di ottobre) mentre sono state tagliate quelle del 2024 (+1,3% a ottobre). Anche per l'Fmi l'anno scorso si sarebbe chiuso con un +3,9% di prodotto interno lordo. Ed è stato proprio Giorgetti ad accogliere con entusiasmo le notizie provenienti da Washington. «Il Mef prende atto che le stime, più volte contestate, sono state confermate oggi dai dati ufficiali del Fmi. È un buon auspicio anche per il futuro», ha commentato Via XX Settembre lanciando un messaggio sia alle opposizioni ipercritiche che a quella parte di maggioranza con cui finora vi è stata minore sintonia.

Insomma, il titolare del Tesoro pare non aver sbagliato le prime mosse e il riconoscimento internazionale della validità delle azioni di un governo «non allineato» al mainstream finanziario globale è sicuramente positivo. Quello che Giorgetti non deve sottovalutare (e probabilmente non sottovaluterà) è che l'economia si muove ancora in terra incognita.

Anche se ieri l'Istat ha certificato che il 2022 si è chiuso con un record di occupazione 60,5% (+334mila posti) e una disoccupazione al 7,8%, troppi fattori possono cambiare lo scenario in maniera repentina: da una nuova impennata dei prezzi energetici (attualmente in significativo calo rispetto ai mesi scorsi) a un'ulteriore stretta sui tassi da parte della Bce che potrebbe incidere sulla capacità di aziende e consumatori di ripagare i propri debiti.

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