Se si liberano gli ultras violenti, armati e «daspati» è discrezionalità dei gip, se i ladruncoli la fanno franca è colpa della riforma Cartabia. Come se in passato i topi d'appartamento venissero assicurati subito alla giustizia. Ma il sospetto che dietro le strane scarcerazioni di questi giorni ci sia un disegno per «avvertire» la politica c'è. Anche il giudice di Napoli non ha convalidato l'arresto dell'ultras coinvolto negli scontri perché «non connotato da alcun intento offensivo». A differenza di Roma, dove invece il gip ha ritenuto insussistente il presupposto dell'urgenza e della necessità in fase di arresto nonostante il pericolo di reiterazione del reato. Vanificando, di fatto, il prezioso lavoro delle forze di polizia. E mandando un segnale pericoloso di impunità.
Ma siccome la magistratura vive il suo momento peggiore in termini di credibilità, alla vigilia dell'elezione del Csm e dell'avvio di una stagione riformista che cambierà finalmente la giustizia che terrorizza le toghe militanti - meglio far lanciare qualche fumogeno agli ultras delle Procure, come Fatto e Cinque stelle. I membri M5s nelle commissioni Giustizia della Camera e del Senato, dagli ex magistrati Federico Cafiero De Raho e Roberto Scarpinato alla coordinatrice del comitato Giustizia Giulia Sarti, blaterando di «smantellamento della giustizia e restaurazione classista», denunciano «un diffuso allarme sociale» perché «restano impuniti autori di furti, danneggiamenti e altri reati tipicamente rivolti a semplici cittadini» e accusano il governo di Giorgia Meloni di «sovranismo dell'impunità» per aver concesso «benefici penitenziari a corrotti e corruttori». Ma è davvero così? Dal 30 dicembre scorso una serie di reati punibili fino a due anni (dalle frodi informatiche alle lesioni personali o stradali) sono perseguibili solo su querela della persona offesa, non più su iniziativa d'ufficio del magistrato. «La riforma ha molti buoni aspetti che pretendono un'adesiva attitudine delle parti processuali per dare frutti insieme a farraginosità procedurali inutili e talvolta persino dannose», dice al Giornale il pm antimafia Stefano Musolino, segretario nazionale di Magistratura democratica, che marca ancora le distanze rispetto ai toni apocalittici di Area attraverso l'ex presidente dell'Anm Eugenio Albamonte, che ipotizza la sostanziale impunità di chi compie furti e borseggi: «Si assisterà, tra qualche settimana, a scarcerazioni di delinquenti che abitualmente mettono in atto condotte illecite di questo tipo». Per il procuratore generale di Napoli Luigi Riello c'è una «depenalizzazione camuffata», al Fatto quotidiano il presidente della Corte d'Appello di Napoli Giuseppe De Carolis denuncia: «Serve la querela pure per perseguire i reati con metodo mafioso».
A chi paventa un possibile scarceramento di massa replica però Via Arenula: «Nessun condannato definitivo per reati per i quali è prevista la custodia cautelare uscirà dal carcere per effetto della Cartabia», assicura una fonte vicina al Guardasigilli Carlo Nordio. Tra chi difende la riforma c'è il capo dei pm di Bologna, Giuseppe Amato («Polemica di lana caprina») e il presidente facente funzioni del Tribunale di Milano, Fabio Roia, che difende «una riforma rivoluzionaria che vuole razionalizzare l'esercizio dell'azione penale». Sarà, ma ieri a Milano il sistema informatico sugli atti processuali utile per la creazione del cosiddetto «fascicolo penale digitale» è andato in tilt.
Un magistrato di Magistratura indipendente ammette al Giornale: «C'è del populismo giudiziario anche dentro la magistratura. Se sento che cresce del malcontento, io che ambisco al potere me ne faccio portatore mentre il buonsenso porterebbe a dire troviamo una soluzione». Qualcuno tra le toghe soffia sul fuoco. Ma rischia di bruciarsi.
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