Nell’ultimo periodo, moltissimi influencers e personaggi famosi sui social hanno iniziato ad esporsi su temi di attualità, sociali e di politica: chi perché sente un'esigenza, chi per tornaconto personale, l'esposizione mediatica è stata esponenziale vedi Fedez, la moglie Chiara Ferragni o Aurora Ramazzotti, che attraverso delle storie pubblicate su Instagram ha denunciato delle molestie di cui era stata vittima per strada aprendo un dibattito che è andato avanti per settimane sui social sul tema del catcalling. In esclusiva per ilgiornale.it abbiamo intervistato Lorenzo Pregliasco, analista politico e fondatore di Quorum/YouTrend oltre ad essere Professore presso la Scuola di Scienze Politiche dell'Università di Bologna. È l'ideatore di un binomio molto significativo che associa la politica a Netflix per il modo in cui, negli ultimi anni, si è modificata anche questa comunicazione a causa dell'avvento dei social media e delle piattaforme on demand.
Cos’è politica Netflix e come funziona?
"Io chiamo politica Netflix, anche in Italia, almeno tre aspetti nel dibattico pubblico: da un lato la presenza di soggetti non politici che pubblicano e si espongono su temi politici come Fedez, Chiara Ferragni e non solo. Dall'altro lato, la tendenza a costruire dei momenti di partecipazione politica che sono on demand, non hai delle campagne ideologiche ad ampio spettro valoriale ma la presa di posizione su temi molto specifici quali, ad esempio, il razzismo come stiamo vedendo con la Nazionale di calcio oppure i diritti civili. Politica Netflix signica che questi soggetti prendono posizione su singoli temi ma senza abbracciare l'universo ideologico come poteva essere la politica qualche decennio fa in Italia".
E il terzo aspetto?
"L'ultimo aspetto interessante è che i vip si sono sempre esposti, in passato non sono mancati esempi, ma trovo che sia particolarmente importante che le figure che adesso prendono posizione sui temi, ispirano e mobilitano anche delle comunità a sostegno delle loro posizioni politiche, sono personalità che hanno dei loro canali, dei loro pubblici, ed hanno migliaia o milioni di follower a cui arrivano direttamente ed è un'enorme differenza rispetto a quello che poteva fare un cantante negli anni '80 quando aveva un suo pubblico ma non aveva un canale per arrivare direttamente al suo pubblico. Oggi è radicalmente diverso".
Oltre ai casi Ronaldo Coca-Cola e Fedez-ddl Zan, le vengono in mente altri casi, anche meno noti, di politica Netflix?
"Sicuramente, il terzo aspetto recente è quello dell'inginocchiamento agli Europei, vicenda che nasce nel football americano nel 2016 legata alle violenze della polizia ed al razzismo nei confronti degli afro-americani, nasce nel contesto della Nfl americana ed ha una seconda vita nell'ambito delle mobilitazioni del 2020 che oggi arriva anche agli Europei di calcio. È un altro classico che si pone nell'ottica della politica Netflix ovvero con realtà e soggetti sportivi che devono discutere di una tema politico e devono scegliere se e come prendere posizione. Quando dico politico è in senso lato con tutto ciò che ha a che fare con il vivere insieme, non è un modo per delegittimare la scelta di inginocchiarsi o meno. In realtà, però, ce ne sono molte altre".
A quali altre iniziative si riferisce?
"Dal mio punto di vista anche una serie di iniziative che ci sono state sull'ambiente con la presa di posizione di personaggi pubblici e aziende che rientrano in questo paradigma. Nella stessa zona della politica Netlifx sta un enorme fenomeno che in Italia sta arrivando lentamente che è l'attivismo dei brand, aziende che prendono posizioni politiche e lo stiamo vedendo con il pride, in questo periodo, ma riguarda moltissimo anche la sostenibilità e l'ambiente".
Spulciando sul suo profilo Instagram, su una “storia” ha scritto che chi fa politica, lobbying, comunicazione dovrebbe guardare queste cose e rendersi conto che il mondo sta cambiando. Cosa significa?
"Volevo dire che per tutti noi che ci occupiamo di questi temi o per soggetti che hanno l'obiettivo di incidere sul dibattito pubblico, è il momento di capire che l'ecosistema non è più quello di 10 anni fa in cui l'agenza era dettata unicamente dai media, non è più un ecosistema nel quale se vuoi avere un impatto sulla questione energia o mobilità, o finanza, quello che si deve fare è un convengo con il professore universitario dell'argomento di cui vuoi parlare. Queste modalità di intervento nel dibattito pubblico saranno sempre più affiancate da modalità diverse: mi aspetto che ci sia una crescita del ruolo degli influencer non sono come realtà che pubblicizzano i prodotti ma come realtà che sposano campagne di advocacy, che sposano delle cause di interesse pubblico. Non solo la pubblicità alla crema o alle bibite ma anche realtà, collaborazioni e progetti di comunicazione che tengono conto di questa nuova realtà, che oggi una parte dell'influenza politica sta nella presa di posizione di personalità pubbliche che hanno un grosso seguito e possono attivare i loro follower intorno un certo tema di policy".
Cosa vogliono comunicare, secondo lei, personaggi famosi ed influencer sui propri canali social? Cercano di avvicinare la gente a politica e temi di attualità o il loro scopo è un altro?
"Dipende dai singoli casi, ciascuno ha i suoi scopi. Da un lato la scelta di esporsi su temi politici e sociali derivi da una pressione che si sente, ed è lo stesso motivo per cui negli Stati Uniti i brand fanno attivismo molto pronunciato su alcune questioni perché sentono che c'è pressione da una parte del loro pubblico affinché si schierino, affinché dicano la loro non solo su qual è il cosmetico da comprare ma anche su aspetti più valoriali. Una parte del perché lo fanno viene da li. In molti casi, gli scopi possono derivare da una volontà genuina di dire la propria, per altri può essere una modalità attraverso cui assumere rilevanza, ci son tanti casi in cui prendere posizione su temi politici ha enormemente accresciuto la visibilità di queste figure".
Nei suoi interventi hai parlato spesso del passaggio da “class politics” a “identity politics”, cosa significa e che conseguenze può avere?
"È un aspetto che ho ricondotto alla politica Netflix ma che è oggetto di analisi serie da ormai un po' di anni: da class politics, cioé una forma di posizionamento politico basato sul concetto di classe e sulle materie economiche e lavorative, ad un modello fondato invece sull'identità. In altre parole, la parte progressista dello spetto politico tende ad essere più attiva sul fronte dell'identità, sul fronte dei diritti civili che non su fronti più tradizionali della sinistra. Nell'intervento di Fedez del 1° maggio, molti hanno osservato come la festa per eccellenza della sinistra di una volta sul lavoro abbia di fatto assunto molto un lato di identity politics, cioé la festa dei lavoratori che diventa una festa per i diritti civili più che la festa per i diritti dei lavoratori in quanto lavoratori".
La sensazione è che la politica Netflix tenda a concentrarsi su singoli temi, come il ddl Zan, non c’è il rischio di perdere la complessità del dibattito politico e pubblico?
"Si, questo è uno degli enormi rischi della politica Netflix, io la chiamo così perchè è un meccanismo che si basa su un consumo politico on demand in cui mi prendo la puntata, mi prendo un pezzetto che voglio vedere quando voglio, non c'è più il palinstesto né l'ideologia generale ma è politica on demand. Il rischio è quello che dici tu, cioé nella politica on demand i cittadini vengono esposti a punti di vista frammentati su poche questioni e perdano le chiavi di lettura più generali e complessive che rimangono. La politica non funziona affrontando un pezzetto per volta, da ogni scelta politica derivano delle conseguenze che poi impattano su altre scelte. Questa dimensione si rischia di perderla, c'è poco da fare".
Eventualmente, come si può recuperare?
"I media dovrebbero lavorare in quella direzione, dovrebbero essere uno strumento che ha l'ambizione di contribuire a costruire l'agenda del dibattito pubblico e uno strumento che può offrire ai lettori pluralità di punti di vista e di questioni. Un lavoro giornalistico ben fatto è un antidoto a questa parcellizzazione totale del dibattito. Anche lì, il rischio è che molti media stanno facendo l'opposto, stanno inseguendo questa forma di interesse politico molto parcellizzato e focalizzato e spesso giocano un po' a parlare soltanto alla propria bolla. È un rischio che c'è ed è legato alla polarizzazione, in Italia un po' meno ma negli Stati Uniti è già molto avanti."
Questa mutazione delle comunicazione politica che impatto può avere sui partiti, sia sulle loro agende che sul loro approccio comunicativo?
"Devono sapere che sono attori anche loro, cioé che su una parte dell'elettorato incide quello che fa Pogba agli Europei o la storia su Instagram di Cathi La Torre, un'altra influencer che si occupa molto di temi politici e sociali. Si tratta di sapere che c'è questa realtà e non averne eccessiva paura, la politica deve rivendicare forza e valore. I leader politici nazionali sono, a loro modo, più che influencer perché convincono milioni di persone a sostenerli, perché incidono sull'agenda politica del Paese, perché si assumono scelte e responsabilità. I leader politici sono molto più che degli influencer, in un certo senso, e l'impressione che ogni tanto si dimentichino di questo e rischino di inseguire gli influencer con la i minuscola che abitano i social.
Sapere che c'è questa realtà, non averne paura e cercare di essere presenti nella vita degli elettori anche sulle piattaforme e canali di cui ormai un bel pezzo di elettorato si informa. Non pensare che tutto si esaurisca nella ospitata di un talk show in prima serata ma sapere che c'è anche un pezzo di Paese, che poi vota, che le idee se le fa su altri canali ed in altri modi".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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