Definirle un bivio è forse eccessivo, ma di certo le elezioni politiche in programma oggi in Polonia potrebbero diventare un passaggio determinante per i futuri equilibri europei. Gli ingredienti ci sono tutti, a partire dal fatto che i polacchi arrivano alle urne dopo una campagna elettorale durissima che ha contrapposto Diritto e giustizia (Pis), il partito di Jaroslaw Kaczynski che governa il Paese dal 2015, alla Coalizione civica (KO), guidata dall'ex presidente del Consiglio Ue Donald Tusk. Uno scontro dai toni apocalittici tra l'ultra-destra nazionalista e il centrodestra a trazione europeista. Condizionato da due fattori. Il primo è la rivalità storica tra i due leader, che non è solo politica (uno aderisce a Ecr, l'altro al Ppe) ma personale. Kaczynski non solo accusa Tusk di essere «al soldo» di Berlino, ma lo ritiene «moralmente responsabile» della morte del suo gemello Lech, ex presidente della Repubblica scomparso in un'incidente aereo nel 2010. Il secondo fattore, tutto politico, è l'exploit di Confederazione (Konfederacja), partito ultraconservatore radicale e contrario a qualsiasi sostegno all'Ucraina che in pochi mesi è schizzato nei sondaggi sopra al 10%. Togliendo consensi proprio al Pis. Non un dettaglio, perché è per evitare di essere scavalcato a destra che Kaczynski ha deciso negli ultimi mesi di alzare i toni. Al Consiglio Ue di Granada della scorsa settimana, per dire, ha bocciato il nuovo Patto di migrazione e asilo. Mentre sul conflitto tra Mosca e Kiev ha deciso di aggiustare il tiro, con tanto di polemica tra il premier polacco Mateusz Morawiecki e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Konfederacja, d'altra parte, sta trovando terreno fertile proprio nelle zone rurali dove il Pis ha le sue roccaforti. Qui i polacchi lamentano eccessive sovvenzioni ai profughi ucraini e rifiutano il grano di Kiev che, dopo la chiusura dei porti sul Mar Nero, arriva in quantità così elevate da aver causato un crollo dei mercati locali.
Uno scenario complesso, in una Polonia che si è ormai ritagliata un peso non indifferente all'interno dell'Ue. È il quinto Paese come numero di abitanti (quasi 38 milioni, esprime 52 eurodeputati su 705) e con i suoi circa 700 miliardi di Pil è la più grande economia dell'est. Per non parlare del ruolo geopolitico assunto dopo l'invasione russa in Ucraina, visto che Varsavia è diventata di fatto un hub di transito chiave per armi, aiuti e rifugiati.
Il voto di oggi, insomma, può modificare gli equilibri europei. Non tanto se il Pis riuscirà nuovamente a vincere, scenario nel quale è altamente probabile che Kaczynski abbandoni i toni da campagna elettorale e torni a muoversi in continuità con gli ultimi anni (non a caso qualche giorno fa il capo delegazione di Fdi-Ecr a Bruxelles, Carlo Fidanza, auspicava «un'ampia riconferma dell'attuale maggioranza»), quanto se per dar vita al nuovo governo sarà costretto a bussare alla porta di Konfederatja. In questo quadro - secondo i sondaggi il più probabile - il rischio di un'ulteriore strambata a destra della Polonia è concreto.
Con Bruxelles che sarebbe ancor di più nel mirino di Varsavia e con ricadute anche sull'Ucraina. Dovesse invece spuntarla Tusk - scenario che non pare tra i più probabili - il discorso si ribalterebbe. E potrebbe incidere anche sulle Europee di giugno.
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