Quella poltrona maledetta che brucia i ministri

Da Bersani fino alla Guidi: storie dei predecessori finiti nei guai o nel dimenticatoio

Quella poltrona maledetta che brucia i ministri

Roma - Non è, fortunatamente, mortifero come il Triangolo delle Bermude, ma il palazzone di Via Veneto che ospita il ministero dello Sviluppo economico non ha di sicuro portato molta fortuna ai suoi inquilini. Basta riavvolgere il nastro e tornare a una decina di anni fa quando si chiamava ancora ministero delle Attività produttive e il pletorico governo Prodi l'aveva affidato a un diessino di peso per la seconda volta: Pier Luigi Bersani, allora noto per le «lenzuolate» sedicenti liberalizzatrici dietro cui Vincenzo Visco nascondeva vagonate di tasse. Eppure proprio da Via Veneto cominciò la fase discendente di Bersani. Prima l'ex finiano Enzo Raisi presentò un esposto sulla fidata segretaria Zoia Veronesi, ufficialmente dipendente della Regione Emilia Romagna, che rimase con Bersani a Roma anche dopo l'aspettativa per l'incarico ministeriale. Se il Pd riuscì a evitare la tegola giudiziaria assumendo Veronesi, non evitò la tegola Bersani: quattro anni deludenti terminati con lo sfascio post-elettorale del 2013.

Non andò meglio ai suoi due successori. Prima il berlusconiano Claudio Scajola. A lui toccarono due patate bollenti: la reintroduzione del nucleare in Italia e l'insorgere della grande crisi globale. Nulla, però, fu più catastrofico della casa vista Colosseo «a sua insaputa». Soli 610mila euro per un attico panoramico nel cuore di Roma erano pochi, ma, come ha riconosciuto il magistrato, l'ex ministro era «inconsapevole» che l'imprenditore Diego Anemone, desideroso di ingraziarselo, avesse concordato con i proprietari una forma alternativa di pagamento. Costretto alle dimissioni nel maggio 2010, da quel momento Scajola è scomparso dai radar della politica che conta.

Nel novembre 2011 arrivò Corrado Passera, chiamato da Mario Monti a salvare l'Italia. All'ex capo di Poste e di Banca Intesa si può muovere un unico rimprovero: l'aver avallato in quei frangenti la sconfortante politica economica filo-tedesca attuata dall'allora premier che ha aggravato la crisi italiana anziché risolverla. Passera aveva unificato le competenze di Industria e Trasporti, ma il suo superministero, bloccato dall'austerity, non conseguì risultati decisivi tranne l'avvio del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. L'ingresso in politica attirò su lui anche l'attenzione delle Procure che non ottenne, per sua fortuna, nessun riscontro.

Passata come un lampo (e così pure il governo di Enrico Letta) la meteora padovana di Flavio Zanonato, poi ricollocato dal Pd al Parlamento europeo, fu Federica Guidi a ottenere il dicastero all'avvio del gabinetto Renzi. Una nomina di spirito bipartisan, ma purtroppo senza risultati di rilievo.

Il ciclone Tempa Rossa s'è così abbattuto sul ministro per interposta persona (a essere indagato è il suo compagno Gianluca Gemelli), costringendolo alle dimissioni. A Calenda, visti i precedenti, come primo gesto da ministro toccherebbe soprattutto fare gli scongiuri.

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