Grazie al lavoro silenzioso di quelle figure professionali mal pagate, mal riconosciute, mai presenti nel dibattito pubblico che sono gli archeologi, oggi l'Italia è arrivata nei notiziari di tutto il mondo.
Le immagini non mostrano letti d'ospedale o il numero di morti della pandemia: mostrano la nuova scoperta di Pompei, un «Thermopolium», un bellissimo bancone decorato che faceva parte di una bottega dove la gente poteva comprare piatti caldi. Le decorazioni e l'estetica compositiva delle superfici sono eccezionali: confrontateli con i banconi dei nostri self service, degli autogrill, dei McDonald's, e vi verrà tristezza infinita della modernità. Il locale, ubicato - secondo quanto riporta il direttore generale di Pompei Massimo Osanna - all'incrocio tra il vicolo delle Nozze d'argento e il vicolo dei Balconi, ha conservato fedelmente le «pubblicità», sottoforma di pittura, degli animali che venivano macellati, cucinati e venduti in questa tavola calda: un gallo che pavoneggia, due anatre a testa in giù, un bellissimo cane al guinzaglio, raffigurato anche nei dettagli del pelo. Nel quadro principale, in un blu ombrato che contrasta con il giallo e il rosso del fondale del bancone, una suadente ninfa a cavallo. Sono stati rinvenuti anche gli strumenti del thermopolium: nove anfore, due fiasche, una patera di bronzo e un'olla, e persino avanzi di cibo. Il pavimento in cacciopesto aveva marmi policromi.
La chiamano scoperta eccezionale. In realtà è il frutto incredibile, perché non aspettato, ma non eccezionale, di una disciplina - l'archeologia - che se avesse il giusto riconoscimento pubblico (quanti archeologi conoscete di persona?), potrebbe rendere i siti monumentali del Paese uno dei settori strategici di maggior evidenza nazionale. Tanto è vero che quando vi è una «scoperta», ne parla il mondo.
Così come parlò il mondo dell'affresco del mito di Leda e il cigno (ritrovato a novembre 2018), delle pitture che raffiguravano i due gladiatori al termine del combattimento (ottobre 2019), degli scheletri dei cavalli (dicembre 2018), o del ricco e dello schiavo (novembre 2020).
I reperti archeologici non hanno un valore in sé: il loro valore è sempre relazionale, cioè è sempre in relazione a ciò che hanno attorno, al contesto fisico, morfologico, biologico, sociale, architettonico, storico in cui sono inseriti. Infatti, come rimarca il direttore Massimo Osanna, anche in questo caso gli archeologi hanno interagito con altre professionalità specializzate, come l'antropologo fisico, l'archeobotanico, il geologo, il vulcanologo, l'archeozoologo, per arrivare a una comprensione esaustiva degli oggetti e i locali rinvenuti.
Dopo l'era dei crolli, si è sostituita l'era delle scoperte. Ci sono stati anni, nel recente passato, in cui Pompei faceva notizia soltanto per le frane e i cedimenti, alcuni gravosi, altri fisiologici (6 novembre 2010, crollo della Casa dei Gladiatori; 30 novembre 2010 muro perimetrale della Casa del moralista; 22 ottobre 2011 crollo del muro di Porta di Nola; 27 ottobre 2011, pozzo di via consolare; 22 dicembre 2011 pergolato di Casa di Lorcio Tiburtino.. un lungo elenco in parte motivato da incuria, in parte da inevitabilità del tempo).
Da qualche anno, mediaticamente, è cambiata la scena, o meglio la narrazione: Pompei da sito archeologico riconosciuto nel mondo per i suoi scioperi, le sue chiusure senza preavviso, i suoi siti internet imbarazzanti, si presenta ora con un'immagine solida, come il luogo delle scoperte.
Cosa ne sarà dopo la pandemia non sappiamo. Non lo può sapere nessuno, a turismo bloccato fino a data da destinarsi. Ma l'Italia ora può imparare da Pompei.
Se sapesse valorizzare il suo patrimonio con la stessa scientifica e mediatica prestanza con cui vengono date notizia delle scoperte di Pompei, il Paese farebbe dell'arte e della cultura un'industria che fattura conoscenza ed economia. È ciò che serve. Prendiamone coscienza.
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