Le porte girevoli tra giudici e pm riservano qualche amara sorpresa. Chi sostiene che la separazione delle carriere che ha in mente l'esecutivo sia un attacco all'indipendenza e all'autonomia della magistratura e comunque limitata a un numero esiguo di casi dovrebbe studiare il caso di scuola che arriva da Cellino San Marco (Brindisi), feudo di Al Bano. Una curiosa coincidenza che scuote dalle fondamenta il principio del giusto processo. Come racconta benissimo Francesca Sabella sul Riformista di ieri c'è Gabriele Elia, ex assessore di Forza Italia che attende di sapere dalla Cassazione la fine dell'iter giudiziario nel quale è rimasto intrappolato nove anni fa, quando venne arrestato. I carabinieri arrivarono in elicottero coi mitra spianati «per una tangente senza soldi e una corruzione senza corruttore», dice al Giornale. Peccato che tra i consiglieri della sezione penale della Suprema corte che deve decidere il suo destino ci sia lo stesso pm che ha indagato su di lui. Non solo. Il giudice, legato alla corrente che faceva capo a Piercamillo Davigo, avrebbe fatto richiesta di tornare a fare il pm a Lecce, competente come corte d'Appello sulle indagini del suo ex distretto di Brindisi.
La storia di Elia è finita più volte sui giornali. L'anno scorso denunciò che il giudice relatore di primo grado si era fatto ritrarre sui social network abbracciato plasticamente durante una festa col pm che lo aveva accusato (il post è ancora su Facebook), disse che un altro giudice si era quasi assopito davanti all'arringa «magistrale» del suo difensore. L'ex enfant prodige azzurro diventato famoso per aver girato l'Italia su un camper con la foto di Silvio e Marina Berlusconi, nonostante i guai giudiziari si è rimesso in carreggiata. Ma la sua vicenda è costellata di altre stranezze. «La tangente senza soldi riguarda la spazzatura». L'atto contrario ai doveri d'ufficio è «una delibera del Consiglio comunale votata all'unanimità, legittima e doverosa per la Corte dei Conti». E la corruzione senza corruttore? Si tratta di mille euro di sponsor, incassati davanti al papà di un ufficiale della Dia che in aula smentì la ricostruzione della Procura. C'è una sentenza che condanna il corruttore con corrotto ignoto, «non il contrario. Così il mio diritto di difesa viene platealmente calpestato». In primo grado è stato condannato a sei anni e sei mesi da una toga che oggi è al Csm, in appello la condanna è scesa a «solo» sei anni. Per mille euro. C'è una sentenza della Corte costituzionale che ha assolto rapinatori per la tenuità del fatto che lo fa sperare, in Cassazione il relatore è l'ex gip di un noto processo di cronaca nera, che ha già definito inconfigurabile la corruzione senza corruttore.
Il pm che diventa giudice e vuol tornare a fare il pm è un'ipotesi al limite dell'assurdo che non sarebbe più possibile se passasse la riforma del Guardasigilli Carlo Nordio, che prevede un concorso unico con l'obbligo di indicare subito quale funzione si intende scegliere tra pm e giudice. Dopo cinque anni può scegliere: se cambia, deve lasciare il distretto giudiziario, sostenere un esame orale e frequentare un corso di formazione presso la Scuola della magistratura. E la scelta diventerebbe irrevocabile. A chi contesta la separazione delle carriere replica l'avvocato Ivano Iai: «È un punto di partenza, non di arrivo, per una definitiva diversificazione dei ruoli processuali. Il giudice, da una parte, l'accusatore pubblico e il difensore privato dall'altra». Il pm resta membro dell'ordine giudiziario e dunque «collega» del giudice.
Per rendere ancor più imparziale e terzo il giudice «si potrebbero coinvolgere gli avvocati del libero foro», sottolinea Iai. Giudici che sarebbero comunque percepiti «altro» rispetto ai pm. Lasciando le storture del caso Elia confinate nei libri di storia e sui giornali.
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