L'ira di Conte sulla gaffe tv del titolare della Salute. "Non era utile né fattibile"

Il premier avrebbe preferito approvare il Dpcm ieri sera ma ha dovuto cedere. Niente passerella mediatica sulle misure

L'ira di Conte sulla gaffe tv del titolare della Salute. "Non era utile né fattibile"

Il blitz non gli è riuscito: Giuseppe Conte avrebbe voluto varare il nuovo Dpcm già ieri sera, tanto che è ripartito in tutta fretta da Taranto annunciando che aveva questa importante partita da chiudere nella Capitale, e che avrebbe presieduto la riunione con gli enti locali convocata dal ministro Francesco Boccia. «Sto tornando a Roma perché stasera vorremmo varare il nuovo Dpcm», ha annunciato. Assicurando (come ribadito anche dal ministro Boccia in serata) che l'unica cosa esclusa con certezza dal governo è un nuovo lockdown generale, che va evitato ad ogni costo.

La fretta ha una ragione tecnica (le misure precedenti scadono il 15 ottobre e vanno quindi sostituite) e una politica: «Più allunghiamo i tempi della discussione, più si rischia di complicare le scelte e di dover scendere a compromessi sulle singole disposizioni», ha ragionato con i suoi. Senza contare i rischi comunicativi che possono prodursi nel frattempo: raccontano nell'esecutivo che Conte si sia assai irritato per lo scivolone in cui è incorso il ministro della Salute Roberto Speranza in tv, quando ospite di Fabio Fazio è parso evocare addirittura la delazione condominiale contro le feste casalinghe troppo affollate. «Non era necessario né utile né fattibile» adombrare simili misure, si è sfogato Conte con un membro del governo. E, soprattutto, l'incidente ha creato una nuova ondata di polemiche che rischia di rovinare la festa comunicativa di Palazzo Chigi, dove non vedevano l'ora di riprendersi la scena - grazie all'emergenza - con i sermoni serali a reti unificate del premier, utili a dettare i titoli di giornali e tv.

È stato lo stesso Conte a rettificare, durante la riunione del tardo pomeriggio con gli enti locali: nessun divieto sulle feste private, ma «inseriremo una forte raccomandazione sulle mascherine all'interno delle abitazioni private, in presenze di persone non conviventi. Non riteniamo di introdurre una norma vincolante ma vogliamo dare il messaggio che se si ricevono persone non conviventi anche in casa bisogna usare la mascherina».

La corsa del premier per varare le nuove misure è stata frenata anche dalla necessità, soprattutto dopo il risultato elettorale delle regionali, di rendere più «condivise» possibile le scelte dell'esecutivo, per evitare le accuse di autoritarismo e per neutralizzare le pressioni interne alla maggioranza su verifiche e rimpasti, di cui Giuseppi non vuole sentir neanche parlare. E che, grazie alla nuova impennata di contagi che monopolizza l'attenzione, pensa di poter evitare. Per farlo, però, deve tenere buone Regioni ed enti locali (di qui la restaurazione della «cabina di regia» che si è riunita ieri pomeriggio) nonché i capibastone della maggioranza giallorossa (di qui la convocazione ieri sera, dopo gli amministratori locali, dei capi-delegazione di Pd, M5s, Italia viva eccetera).

Nella prima riunione, dopo una intensa discussione, i tre governatori presenti (l'emiliano Stefano Bonaccini, il siciliano Nello Musumeci e il lombardo Attilio Fontana) hanno dato via libera allo schema di Dpcm, sia pur chiedendo una serie di messe a punto. «Le misure ci sono state anticipate solo a voce - sottolinea Fontana - ma non possono essere applicate senza che l'esecutivo preveda una copertura economica per tutte quelle attività che, penalizzate dal nuovo pacchetto, rischierebbero di chiudere per sempre».

Forte pressing sul governo anche perché agevoli e incentivi il maggior ricorso possibile allo smart working, con una eccezione: la solita Virginia Raggi, secondo la quale lo smart working danneggia le attività commerciali.

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