«Punti in comune». Sono queste le tre parole chiave di una possibile convergenza che fino a qualche mese fa era impensabile. Ma che dopo le elezioni del 6-9 giugno potrebbe cambiare non solo gli equilibri nell'eurodestra, ma anche i rapporti tra il Ppe e l'ala conservatrice del prossimo Parlamento Ue.
Venerdì scorso, infatti, Giorgia Meloni ha detto che con Marine Le Pen ci sono «punti in comune». Un'espressione non casuale, perché proprio una settimana fa - intercettata a Madrid dai giornalisti italiani a margine della convention di Vox - la fondatrice del Rassemblement national aveva usato esattamente le stesse parole: «Con Meloni ci sono punti in comune». La coincidenza, quasi certamente non casuale, è passata un po' sotto silenzio, perché del Festival dell'Economia di Trento hanno fatto notizia la contestazione alla premier e la sua accelerazione sul premierato. Ma è evidente che Meloni e Le Pen - per ragioni del tutto diverse ma comunque convergenti - si stanno muovendo per provare ad avvicinare le due destre europee, quella conservatrice di Ecr e quella sovranista di Identità e democrazia. Alla prima aderisce Fdi, alla seconda Rn (e la Lega di Matteo Salvini).
Lo schema che hanno in mente Meloni e Le Pen - che, dicono i rispettivi staff, continuano ad avere rapporti molto formali e non hanno contatti diretti - è quello di un'eurodestra divisa in tre, con gli impresentabili di Alternative für Deutschland e partiti satelliti ai cripto-nazisti tedeschi isolati in un gruppo a parte. Di qui la decisione di Le Pen (e Salvini) di espellere Afd da Identità e democrazia. Una mossa che fa sostanzialmente cadere il cordone sanitario intorno a Id e che toglie a Le Pen la zavorra dell'alleanza con Afd in vista della sua corsa all'Eliseo nel 2027. Impossibile attrarre voti centristi e vince le presidenziali francesi sedendo a Strasburgo nello stesso gruppo di quelli che John Belushi definirebbe a ragione «i nazisti dell'Illinois».
Meloni, per ragioni diverse, immagina esattamente lo stesso schema. L'ultra destra in un gruppo (con Afd potrebbero andare gli austriaci del Fpö, gli estoni di Ekre e i danesi di Df), i sovranisti di Identità e democrazia «ripuliti» dagli impresentabili e - come destra di governo - i conservatori di Ecr (di cui la premier italiana è presidente). E in Id potrebbe finire pure il Fidesz del premier ungherese Viktor Orbán, che è vero preferirebbe convergere in Ecr ma pare stia incontrando diverse resistenze. Lo statuto dei Conservatori prevede infatti che ogni nuovo ingresso sia approvato da almeno i due terzi del board Ecr (dove la rappresentanza è sostanzialmente per delegazioni e sganciata dal peso numerico dei singoli partiti), ragione per cui non pare più così scontata anche l'adesione dei rumeni di Aur (che, a differenza di Fidesz, hanno presentato da mesi richiesta di ingresso).
In questo scenario, Ecr potrebbe diventare il primo interlocutore del Ppe.
Non tanto nel voto one shot sul futuro presidente della Commissione Ue, quanto in quelli - sempre a maggioranze variabili - dell'Eurocamera durante tutta la prossima legislatura. E sarebbe anche la cinghia di trasmissione con Id nelle occasioni in cui il Ppe sarà alla ricerca di voti per approvare provvedimenti osteggiati dai socialisti di S&D.
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