Scrive ma non parla. Nel suo primo 25 aprile da presidente del Consiglio, Giorgia Meloni - come già noto da ieri pomeriggio - sceglie di affidare il suo pensiero sulla Liberazione a una lettera al Corriere della Sera. Per non essere travisata, certo. E, soprattutto, per non esporsi a un dibattito pubblico dove la celebrazione della fine dell'occupazione nazista e la definitiva caduta del fascismo in Italia è ormai da settimane argomento fortemente divisivo. Perché un pezzo del centrosinistra lo ha utilizzato come argomento ostile al governo, certo. Ma pure perché autorevoli esponenti di Fratelli d'Italia sono incappati in inattesi scivoloni di percorso. Inutile, quindi, alimentare «contrapposizioni strumentali». Perché il 25 aprile - spiega Meloni nella sua seconda missiva al Corriere dopo quella dello scorso febbraio sul caso Cospito - è «una festa di libertà». E ancora: «Democrazia e libertà sono scolpite nella Costituzione con un testo che aveva l'obiettivo di unire, non di dividere. Occorre fare di questa ricorrenza un momento di rinnovata concordia». E sul fascismo aggiunge: «I partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo».
Un intervento, quello della presidente del Consiglio, che prova a mettere la parola «fine» a una divisone antica, per certi versi atavica. Un fronte che da dopo la Seconda guerra mondiale divide ineluttabilmente destra e sinistra. E sul quale dal versante centrodestra solo Silvio Berlusconi, sulle rovine del drammatico terremoto che colpì l'Aquila quattordici anni fa, riuscì nel 2009 ad aprire uno spiraglio verso un reale tentativo di pacificazione. Che poi, negli anni a seguire, non è mai arrivata. Così come ieri, con la lettera di Meloni al Corriere che da più parti - non solo dal fronte dell'opposizione - è stata letta come una «occasione persa».
La presidente del Consiglio ieri mattina ha accompagnato il capo dello Stato, Sergio Mattarella, alle celebrazioni all'Altare della patria. E con loro c'erano i presidenti di Senato e Camera, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana. Un appuntamento istituzionale significativo, certo. A cui Meloni non ha fatto però seguire altri impegni né dichiarazioni pubbliche (neanche sui social, canale che la premier predilige ormai da un po').
Quello che c'era da dire, insomma, è il messaggio veicolato dalle colonne del Corsera. E soprattutto - fanno sapere da Palazzo Chigi - il «messaggio dei fatti». Perché i ministri in quota Fratelli d'Italia tutto hanno fatto fuorché sottrarsi alle celebrazioni della Liberazione. Francesco Lollobrigida era alla cerimonia del 25 aprile di Subiaco, Adolfo Urso ha partecipato alla commemorazione organizzata dalla comunità ebraica di Roma, Guido Crosetto e Daniela Santanché hanno presenziato alla visita di Mattarella in Piemonte, Raffaele Fitto è stato al Sacrario militare dei caduti d'Oltremare di Bari, Luca Ciriani ha preso parte alle celebrazioni organizzate dal comune di Pordenone e Carlo Nordio a quelle del comune di Treviso, mentre Nello Musumeci ha deciso di far visita ai cimiteri militari di Catania.
Tutti presenti, insomma, gli esponenti di governo di Fdi.
A testimoniare - è il messaggio che ha voluto veicolare Meloni, chiedendo esplicitamente ai suoi di essere in prima fila - che «non c'è alcuna intenzione di sottrarsi» a un appuntamento che, ribadisce in privato la premier, «non deve più essere occasione di divisione» ma «festa della nazione».
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