«Non si torna indietro, il futuro è nostro». Così il leader dei ribelli Abu Mohammed al Jolani, all'arrivo a Damasco sancisce la fine del regime di Assad in Siria e apre una nuova era densa di interrogativi aggiungendo: «Fratelli, h vinto la nazione islamica». Anche Damasco è caduta, il tiranno Assad è in fuga in Russia dall'amico Putin e tutti gli occhi sono puntati su di lui, il leader del gruppo Hayat Tahrir al-Sham che bacia la terra e promette una svolta. L'operazione lampo dei ribelli parte siriani, parte jihadisti, si è già conclusa senza incontrare troppa resistenza e in maniera tutto sommato quasi incruenta, quando ieri i miliziani hanno preso possesso della capitale.
Cosa accadrà ora è tutto da vedere. I segnali che giungono dalla capitale sono sorprendentemente positivi. Il primo riguarda l'attuale premier Mohammed Ghazi al Jalali, dato per arrestato in un primo momento e invece confermato in carica fino alla transizione dal regime di Assad, come confermato dallo stesso al Jolani. «Non sto andando via e non vado via. Aspetto in modo pacifico per garantire la continuità delle autorità pubbliche, delle istituzioni e dell'apparato dello stato, per garantire la sicurezza di tutti i cittadini», ha detto il premier. Segnali di distensione arrivano anche dalle autorità religiose del Paese, atterrite dalla possibile istituzione di uno stato islamista. «C'è un grande clima di speranza. I cristiani e tutte le altre minoranze in Siria saranno trattate in modo uguale a tutti i cittadini», ha detto padre Bahjat Elia Karakach, frate della Custodia di Terra Santa e parroco della comunità di Aleppo. «I ribelli hanno incontrato i vescovi ad Aleppo subito, nei primi giorni, assicurando che rispetteranno le varie confessioni religiose e rispetteranno i cristiani. Seriamo che mantengano questa promessa», ha aggiunto il nunzio apostolico a Damasco Mario Zenari. «Da parte della leadership degli anti-governativi, tutte le realtà cristiane di minoranza sono state rassicurate sul desiderio di aprire una prospettiva di pace, inclusiva e democratica», conferma Davide Chiarot, operatore di Caritas Italiana ad Aleppo. Anche drusi e curdi sarebbero stati rassicurati sulla volontà di pacificazione del nuovo corso siriano ma è ancora troppo presto per sapere cosa accadrà.
Anche perché, come in ogni rivoluzione, non tutto procede in serenità. La situazione è tesa nella zona cuscinetto del Golan, l'altopiano siriano occupato e annessa da Israele che diventa ora di nuovo conteso. L'esercito di Tel Aviv ha riferito di aver preso il controllo della zona con il coprifuoco istituito in diverse aree. Mentre un paio di raid israeliani hanno colpito diversi obiettivi su Damasco (in particolare il Centro di ricerca scientifica) prima che sulla capitale scattasse il coprifuoco deciso dai ribelli, un gruppo armato è entrato nel giardino della residenza dell'ambasciatore d'Italia ma «non ci sono state violenze nei confronti dell'ambasciatore né verso i carabinieri. Hanno portato via tre automobili. La situazione è completamente sotto controllo», ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il ministro, ha presieduto ieri una riunione sulla situazione in Siria con gli ambasciatori d'Italia nei Paesi del Medioriente in stretto contatto con l'ambasciatore a Damasco Stefano Ravagnan, ringraziandolo «per l'attività di assistenza dei connazionali». La situazione sembra tranquilla ma le forze speciali e gli assetti strategici della Difesa sono comunque in allerta per un'eventuale operazione di esfiltrazione del personale italiano.
A Damasco anche l'ambasciata iraniana è stata presa d'assalto e prima del coprifuoco alcuni uffici statali sono stati saccheggiati mentre i ribelli sparavano colpi di kalashnikov in aria per festeggiare e
l'imponente palazzo residenziale di Assad, simbolo del regime e della repressione, veniva ufficialmente espugnato con feste e celebrazioni per le strade. Inizia una nuova era in Siria. Dove porterà è ancora tutto da vedere.
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