Una pressione fiscale senza precedenti e una burocrazia che soffoca le imprese, rubando tempo e soldi. A denunciare i nefasti effetti delle due lame di questa forbice è il centro studi della Cgia di Mestre, che parte proprio dal dato del rapporto tra prelievo fiscale e Pil, che ha toccato una percentuale record, 43,8 per cento. «Un livello mai toccato prima», spiegano gli Artigiani di Mestre, sottolineando che questo poco lusinghiero primato raggiunto dal precedente esecutivo non dipende nemmeno da un aumento delle tasse. A provocare l'impennata della pressione fiscale, infatti, è stata «l'interazione di tre aspetti congiunturali distinti: il forte aumento dell'inflazione, che ha fatto salire le imposte indirette; il miglioramento economico e occupazionale avvenuto nella prima parte dell'anno, che ha favorito la crescita delle imposte dirette», e infine l'introduzione, nello scorso biennio, «di molte proroghe e sospensioni dei versamenti tributari, che sono state cancellate per il 2022». Il dato ci colloca ai vertici della Ue, con solo quattro Paesi dell'Unione con una pressione fiscale superiore a quella italiana: la Danimarca, con un 49 di entrate fiscali in rapporto al Pil, Francia (47%), Belgio (45,4%) e Austria (43,6%). Anche la media Ue e quella dell'Eurozona sono inferiori (41,5 e 42,1% rispettivamente), mentre l'Irlanda, ultima dei 27, con il 21,7 per cento ha un carico fiscale che è esattamente la metà di quello italiano.
A spiegare l'aumento, anche l'introduzione dell'assegno unico, che ha assorbito tra le altre misure a sostegno delle famiglie le vecchie detrazioni fiscali. Per i percettori non cambia nulla, ma nel bilancio dello stato l'assegno è contabilizzato come uscita, mentre aumenta il gettito dell'Irpef, che vede un incremento annuo di 8,2 miliardi. E nel periodo gennaio-settembre del 2022, rispetto ai primi nove mesi dell'anno scorso, l'erario ha visto crescere le entrate di 37 miliardi di euro, «di cui 5,5 miliardi di Irpef, 8,9 miliardi di Ires e 17,8 miliardi di Iva». Il peso fiscale, prosegue il centro studi Cgia, dall'introduzione del bonus Renzi nel 2014 può essere leggermente allentato leggendo il dato al netto degli sgravi fiscali, che lo fa scendere al 41,9 per cento.
Ma preoccupa di più la «terza versione» della pressione fiscale, «quella reale che si ottiene depurando dal Pil nazionale la quota riconducibile all'economia non osservata che, per sua natura, non produce gettito». Insomma, per gli italiani che rispondono presente al fisco, le cose vanno anche peggio, perché sottratto al Pil il «sommerso» - per loro la pressione sfiora il 50 per cento.
Se gli italiani sono soffocati dal peso di tasse e imposte, ricevendo peraltro in cambio del salasso servizi di livello «molto inferiore alla media europea», a peggiorare le cose, infine, è la burocrazia fiscale. Che, come sintetizza la Cgia, fa dell'Italia «il Paese dove pagare le tasse è più difficile», soprattutto per le aziende. Tra raccolta di informazioni, redazione delle dichiarazioni e presentazione dei documenti all'amministrazione finanziaria, un imprenditore del Bel Paese a capo di una srl con 60 addetti si vede scippare un mese di tempo, 238 ore.
A parità di condizioni, solo i portoghesi sprecano lo stesso ammontare di tempo (ma portando sulle spalle una più ragionevole pressione fiscale, pari al 37,5 per cento), mentre la burocrazia «ruba» appena 17 giorni ai francesi e 18 che è anche la media dell'area euro - agli spagnoli.
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