C'è qualcosa che non torna nella narrazione di Mosca secondo cui tutto sta andando secondo i piani in quella che al Cremlino non vogliono chiamare guerra. È guerra aperta tra Yevgeny Prigozhin, capo del gruppo di mercenari Wagner, e Valeri Gerasimov, capo di Stato maggiore dell'esercito. In ballo c'è il ruolo di primo piano sul campo ma non solo. Prigozhin ha attaccato frontalmente, oltre Gerasimov, anche il ministro della Difesa Serghei Shoigu, accusandoli di «voler distruggere il suo esercito privato» e definendo il loro comportamento «un tradimento della patria proprio nel momento in cui Wagner continua a essere impegnato nella sanguinosa battaglia per Bakhmut».
Nel suo messaggio, Prigozhin non solo rende manifeste le spaccature nel gruppo di comando ma ammette anche che la sua brigata «perde centinaia di combattenti ogni giorno» e denuncia una «totale fame di munizioni nei ranghi dei distaccamenti mercenari», visto che il suo appello a rifornire di armi i Wagner è caduto nel vuoto. Eppure Prigozhin ha legami strettissimi con il Cremlino, tanto da essere tra i pochissimi a potersi permettere di esternare ciò che pensa liberamente senza conseguenze dirette. Il ministero della Difesa ha però replicato che le denunce di Prigozhin sono «assolutamente false» e anzi finiscono con l'aiutare il nemico.
Una frattura insanabile mentre emerge che in occasione della visita di Biden a Kiev, l'esercito russo ha testato un missile balistico Sarmat fallendo però l'operazione.
La Russia aveva avvertito gli Stati Uniti di un imminente lancio ma sia Putin che lo stato maggiore dell'esercito non ne hanno fatto parola, proprio a causa del fallimento del test anche considerato che lo stesso Zar aveva definito «invulnerabili» i suoi sistemi missilistici. Il Sarmat, in fase di sviluppo dal 2013, è ritenuto uno dei simboli della possibile escalation russa nel conflitto.
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