Passata una settimana esatta dal voto di fiducia del Senato, la maggioranza che sostiene il governo guidato da Mario Draghi va per la prima volta a sbattere contro le inevitabili divergenze e incomprensioni che caratterizzano partiti così distanti tra loro. Succede tutto nel tardo pomeriggio, dopo una giornata di strana calma piatta nonostante il ministro Roberto Speranza abbia confermato davanti alle Camere l'intenzione di prorogare le misure anti-Covid fino a dopo Pasqua. Il tema, si sa, è divisivo, eppure non si registrano né prese di distanza, né distinguo. Matteo Salvini, per dire, si limita a dire che Draghi «condivide l'idea di un ritorno alla vita e alle attività di categorie chiuse da troppo tempo», ma si guarda bene dal puntare il dito contro Speranza. D'altra parte, la partita vera si giocherà di lì a qualche ora, nel Consiglio dei ministri che deve mettere la parola fine al tira e molla sui nuovi sottosegretari. Riunione inizialmente convocata per le 17 senza che il tema fosse all'ordine del giorno, poi posticipata alle 18 con un nuovo odg e infine sospesa per temporanea impraticabilità del campo dopo circa un'ora e mezza. Veti e controveti, infatti, costringono Draghi a prendere tempo, per poi finalmente trovare la quadra dopo le otto di sera. Per la prima volta, insomma, l'ex presidente della Bce si deve confrontare direttamente con le pressioni dei partiti che proprio sui sottosegretari sfogano quelle insofferenze rimaste nel cassetto quando si è giocata la partita dei ministri (alla quale i leader di maggioranza non sono stati praticamente invitati). Un assaggio di quello che potrebbe essere il percorso dei prossimi mesi, soprattutto se i numeri della pandemia dovessero imporre di prolungare le misure restrittive o magari aumentarle. È evidente, infatti, che un pezzo della maggioranza finirebbe per andare in fibrillazione e le frizioni di ieri sarebbero ben poca cosa in confronto.
Per il momento, però, Draghi non si scompone. Almeno non lo ha fatto ieri durante il Consiglio dei ministri. Neanche quando il ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli si è messo di traverso su vari fronti, dai numeri dei sottosegretari alle deleghe. Quelle meno gradite dall'esponente del M5s - rimasto ancora oggi molto vicino all'ex premier Giuseppe Conte - sono destinate ai leghisti, a partire da Nicola Molteni (Interno). Su questa in particolare, in verità, lo stesso Draghi avrebbe avuto delle perplessità legate al fatto di mettere al fianco di Luciana Lamorgese un uomo così vicino a Salvini, non solo dal punto di vista personale ma anche come condivisione delle politiche migratorie. Altra questione divisiva è la nomina a sottosegretario all'Editoria dell'azzurro Giorgio Mulè, che verrà poi sostituito in corsa da Giuseppe Moles e dirottato alla Difesa.
Si arriva così alla sospensione del Consiglio dei ministri, con Draghi che tira un tratto di penna e chiude la querelle. Concedendo, nei fatti, l'onore delle armi a Salvini, che - politicamente parlando - vince la partita riuscendo a portare a casa quasi tutte le richieste: da Molteni al Viminale a Gian Marco Centinaio all'Agricoltura, passando per Lucia Borgonzoni alla Cultura. In tutto nove sottosegretari, solo due meno del M5s, ma ben tre più del Pd e di Forza Italia.
Non va male neanche agli azzurri, tanto che Antonio Tajani parla di «nomine importanti in settori chiave». Sei sottosegretari che in qualche modo compensano alcune incomprensioni che si erano registrate con l'indicazione dei ministri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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