
«Una volta questo processo sarebbe stato dichiarato nullo». Ieri inizia il primo processo a Daniela Santanchè (nella foto), quello per i presunti falsi in bilancio di Visibilia. Di solito sono gli avvocati difensori a animare le prime udienze con le loro eccezioni. Invece ieri sulla Procura della Repubblica, che ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio del ministro del Turismo e altri quindici imputati, si abbatte a sorpresa l'intervento del tribunale. Le accuse mosse dai pm, dicono in sostanza i giudici, non sono comprensibili. Non si capisce a cosa si riferiscano, a quali comportamenti, a quali colpe degli imputati. É il presidente del tribunale, Giuseppe Cernuto, a spiegare ai pm, che davanti a simili lacune il processo un tempo si sarebbe inabissato. Ora alla Procura viene concesso di provare a rimediare. Ma l'elenco dei buchi è lungo. I pm avranno tempo fino al 13 maggio, data della prossima udienza, per provare a rimediare. Nel frattempo, nei banchi delle difese la soddisfazione (ma anche la sorpresa) sono palpabili.
Aula sovraffollata di telecamere, per il debutto del processo al ministro del Turismo del governo Meloni. Che qualcosa non vada come previsto lo si capisce quando il giudice Cernuto prende la parola e spiega che nel fascicolo del processo manca un pezzo importante, ovvero i bilanci di Visibilia dal 2016 al 2022, quelli che la Santanchè e i suoi coimputati sono accusati di avere falsificato: «Non c'è il corpo del reato», spiega il giudice ai pm quasi sorridendo. È solo l'assaggio di quanto arriva subito dopo.
«Abbiamo letto i capi di imputazione - dice il giudice - e siamo davanti a questioni che una volta avrebbero portato alla nullità del decreto di rinvio a giudizio... Adesso la Cassazione dice che il tribunale deve sollecitare e noi lo facciamo». Ebbene «sarebbe opportuno che l'imputazione venisse riformulata distinguendo anno per anno i bilanci, indicando anno per anno quali voci si sostiene che siano formulate in modo non corretto». Nicolò Pelanda, uno dei difensori della Santanchè, chiede: «Intende che anche le responsabilità attribuite ai singoli imputati andrebbero specificate meglio?» «Certamente», risponde il giudice. Aggiunge: «Un capo di imputazione più lungo è più noioso da leggere ma dà un contributo di chiarezza». E infine la stoccata finale, diretta al capo d'accusa che vede imputata Visibilia come persona giuridica: «La colpa deve essere descritta, non è sufficiente enunciarla. Per la prossima udienza il tribunale valuterà anche questi aspetti».
A venire accusato di oscurità (e forse anche di una certa grossolanità) da parte del tribunale è quasi l'intero impianto dell'inchiesta della Procura. I capi di imputazione per il tribunale presentano difetti talmente evidenti, per i giudici, che avrebbero dovuto essere rilevati già nell'udienza preliminare. Ora la Procura è «invitata» (ma si tratta di un eufemismo, in realtà è un ordine a meno che non voglia rischiare l'azzeramento del processo) a rifare il suo compito.
«In tanti anni non ho mai visto niente del genere», è il commento quasi incredulo di uno degli avvocati difensori.
Mentre a lasciare l'aula palesemente scontento è l'ex azionista di Visibilia Giuseppe Zeno, diventato da tempo ostinato accusatore della Santanchè, che ieri si era presentato in aula sull'onda di un nuovo esposto contro il ministro: sostiene di essere rimasto danneggiato anche dal mancato perfezionamento della cessione del 75 per cento di Visibilia alla Wip Finance svizzera, che sembrava cosa fatta ma è stata congelata dalla Consob elvetica. Nei piani di Zeno, era il suo esposto a dover diventare la notizia del giorno. Le cose sono andate diversamente.
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