Milano - Da solo, sempre da solo. Davanti alle telecamere della stazione di Lione, a mezzogiorno del 22 dicembre, come sotto gli occhi di quelle di Milano Centrale, tredici ore più tardi. I fotogrammi della stazione di Lyon-Part-Dieu vengono individuati ieri. E man mano che i tasselli della lunga fuga di Anis Amri vengono a galla, il viaggio del terrorista tunisino appare sempre più anomalo: Amri viaggia senza cellulare e senza nemmeno i documenti, che ha lasciato sul tir usato per la strage di Berlino. Eppure non sembra uno sbandato, anzi. Si muove lucidamente, come seguendo un percorso fissato fin dall'inizio, prima di seminare la morte al mercatino natalizio di Breitscheidplatz. Ma quale fosse il punto d'approdo finale, dopo la tappa in cui Amri ha trovato la morte, davanti alla stazione di Sesto San Giovanni, ancora nessuno lo sa.
A Milano, è la convinzione degli inquirenti, Amri era di passaggio. Forse verso Sud, le zone d'Italia che conosceva meglio; o forse verso Est, nella ex Jugoslavia, dove poteva cercare appoggi. Ma il sospetto degli investigatori è che, qualunque fosse la sua destinazione finale, nel capoluogo lombardo o nel suo hinterland, l'ex spacciatore di droga ormai ottenebrato dal fanatismo religioso potesse avere riferimenti precisi. È intorno a questa ipotesi che ruota la più delicata delle due inchieste giudiziarie scaturite dalla sparatoria in cui Amri ha trovato la morte: è l'indagine aperta dalla Procura di Milano e condotta dal pm Alberto Nobili, capo del pool antiterrorismo.
Anche la procura di Monza, competente sul territorio di Sesto San Giovanni, ha un fascicolo sull'episodio, limitato ai minuti della sparatoria e destinato a venire archiviato rapidamente per «morte del reo», visto che il comportamento del poliziotto che ha ucciso Amri, Luca Spatà, è un caso da manuale di legittima difesa. Il contenitore in cui invece confluiranno i risultati delle indagini febbrili in corso in queste ore è quello sul tavolo del pm Nobili, l'inchiesta aperta per il reato di associazione con finalità di terrorismo. Il fascicolo è attualmente a carico di ignoti ma è chiaro chi sia nel mirino dell'indagine: i complici milanesi di Amri. Nel territorio lombardo, è l'ipotesi investigativa, agiva una cellula jihadista coinvolta nella fuga dello stragista di Berlino. È in questa cellula, verosimilmente, che si nascondono gli agganci che hanno portato il tunisino, nella notte tra giovedì e venerdì, dopo avere fatto tappa a Chambery e poi a Torino, a spostarsi dalla stazione Centrale di Milano allo scalo sestese. Nello zaino, la stessa calibro 22 usata a Berlino per ammazzare il camionista polacco Lukasz Urban.
E in questo fascicolo confluiranno anche le notizie che il pm Nobili ha chiesto alla magistratura tunisina sull'indagine che nel paese maghrebino ha portato all'arresto di tre persone, tra cui un nipote di Amri, che era in contatto con lo zio sul sito protetto Intelligence e da lui riceveva aiuti economici e inviti per trasferirsi in Germania e
attivare una cellula dell'Isis. Il nipote avrebbe confessato che il terrorista di Berlino era l'emiro in Germania della brigata Abou Al-Wala. Anis Amri era un capo, dunque: non un lupo solitario o una scheggia impazzita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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