Fedele al nome dell'inchiesta - «Angeli e demoni» - che ne ha maciullato l'immagine nel tritacarne mediatico. E infatti un po' «angelo» e un po' «demone», lo psicologo Claudio Foti lo è sempre stato. Prima dello scandalo di Bibbiano, l'«angelo» era prevalente sul «demone», con un'ampia fetta del consesso accademico pronto a tessere le lodi «umane e professionali» di questo strizzacervelli coi capelli alla Einstein; poi, a inchiesta esplosa, il «demone» ha preso il sopravvento, spazzando via la dignità di un «super esperto» cui (è bene ricordarlo) importanti procure hanno affidato nel corso degli anni perizie tecniche proprio sui medesimi temi per i quali ieri la giustizia lo ha invece condannato.
Una nemesi dove il demone ha divorato l'angelo; e dove i colleghi che ai tempi d'oro lo portavano in paradiso, nell'ora della disgrazia lo hanno scaraventato all'inferno.
Ma ieri uscendo dal tribunale, Foti è apparso tutt'altro che rassegnato all'abiura filosofica del cosiddetto «metodo Foti»: «Le registrazioni sono state analizzate con pregiudizio. Esse dimostrano l'esatto contrario di quanto sostenuto dall'accusa. In aula è andato in scena un dibattito improprio: plausibile in un convegno scientifico, non certo in una sede giudiziaria». Al suo fianco c'è l'avvocato Andrea Coffari, esperto di diritto di famiglia e presidente dal 2007 del Movimento per l'infanzia. È toccato a lui difendere l'onore di un amico, ancor prima che di un «cliente»: «Il tempo sarà galantuomo - ci aveva detto due anni fa -. Le accuse contro Foti si sgonfieranno». In parte ha avuto ragione: per Foti erano stati chiesti 6 anni, gliene sono stati inflitti 4. Uno «sconto» che non restituisce a Foti nulla di quanto di peggio si era detto (e scritto) sul suo conto, anche da parte di chi ha spacciato per «informazione» clamorose bufale. Nessuna offesa è stata risparmiata a Foti, impallinato su giornali e tv con una raffica di sanguinosi epiteti: «mostro», «ciarlatano», «fissato»... Una lista arricchita perfino dal simpatico epiteto di «marito violento» (a seguito di una banale lite con la moglie) e di «millantatore» (per il risibile sospetto di «essere privo di laurea»). E a centro del mirino, sempre lui: Claudio Foti, lo psichiatra specializzato in abusi in età infantile con all'attivo decine di saggi sull'argomento. Tutto liquidato dai suoi detrattori, tirando in ballo la famigerata «macchinetta dei ricordi» di cui Foti avrebbe fatto «uso costante e improprio». E poco importa che, questa «macchinetta», in realtà non sia mai esistita.
Coffari aveva denunciato al Giornale: «Siamo dinanzi a un fenomeno sottostimato. Nelle separazioni con denunce di abusi si possono rintracciare tre costanti: un sex offender maschile che vuole imporre, attraverso la sopraffazione, il ruolo di uomo dominante; una madre che denuncia ma viene spesso emarginata e screditata anche dalla rete istituzionale che dovrebbe tutelarla; un bambino abusato che, senza un intervento pronto ed efficace da parte dei servizi sociali, è destinato a non liberarsi più dal trauma».
E il fantomatico «metodo Foti» in cosa consiste? «Non esiste - spiega l'avvocato, con Foti tra il promotori del Movimento per l'infanzia -.
Piuttosto va evidenziato come la violenza su bambini, donne e madri rappresenti ancora un tabù. Perciò è necessaria un'opera di denuncia. Perché, come diceva Martin Luther King, ciò che spaventa davvero non è la violenza dei cattivi, ma l'indifferenza dei buoni».
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