Quando si tratta di sanzionare la Russia l'Unione Europea è bravissima a spararsi nei piedi. E a regalare ulteriore consensi al sistema di potere del Cremlino. Ieri ne abbiamo avuto l'ulteriore dimostrazione. Dopo essersi platealmente divisa sulle importazioni di petrolio russo, tanto da dover rimandare ogni decisione, l'Ue ha tentato di rifarsi con le sanzioni al patriarca Kirill. Ma è una magra consolazione. O, meglio, un evidente autogol. Quelle sanzioni, serviranno soltanto a moltiplicare il già largo consenso di cui godono il Patriarca, la Chiesa Ortodossa e un Vladimir Putin definito un «dono del signore» dallo stesso Kirill.
Certo a Bruxelles quelle dichiarazioni suonano oltremodo scandalose e intollerabili. Soprattutto dopo il sermone con cui Kirill giustificò l'invasione dell'Ucraina definita palcoscenico per «parate gay». Illudersi però d'incrinarne l'autorità religiosa scaricandogli addosso le solite inutili sanzioni è alla fine soltanto controproducente. L'effetto boomerang delle misure anti-Putin dovrebbe farlo capire. Nonostante si siano rivelate assolutamente inadeguate a fermare la guerra sono riuscite a rafforzare il consenso di un presidente passato in due mesi dal 70 all'81 per cento. Dello stesso effetto beneficerà anche il Patriarca di una chiesa diventata, dopo la fine comunismo, uno dei simboli dell'identità nazionale russa. Considerata l'istituzione più affidabile dopo Forze Armate e Presidenza la Chiesa di Kirill gode della fiducia del 61 per cento dei cittadini. Un dato non da poco per un paese dove alla fine degli anni 80 gran parte dei russi erano ancora atei. Un fede e una fiducia immediatamente percepibili anche nella frenetica vita quotidiana della capitale moscovita dove molti passanti non esitano a fermarsi davanti a chiese e santuari per segnarsi con la croce o recitare una breve preghiera. Quelle abitudini, aldilà della loro estemporaneità, riflettono la crescente influenza della Chiesa ortodossa.
Un'influenza evidentissima se si considerano gli effetti delle campagne anti-aborto lanciate dalla Chiesa per limitare una pratica trasformata dal comunismo in normale sistema per il controllo delle nascite . Campagne diventate martellanti dopo la nomina di Kirill instancabile nel denunciare i «crimini contro la vita» e nel pretendere il taglio dei fondi statali destinati a garantire la gratuità di un aborto «considerato ingiustamente alla stregua di una malattia». Campagne evidentemente arrivate a bersaglio visto che nel 2020 si sono registrati appena 450mila aborti a fronte dagli oltre 4 milioni e 600mila del 1988. E questo nonostante i «peccatucci» di un Kirill a cui i nemici attribuiscono - oltre ad un patrimonio personale da oltre 4 miliardi di dollari - anche lo scarso senso di sobrietà cristiana esibito facendosi intervistare con al polso un orologio Breguet da 30mila euro. Ma aldilà di questi vizietti Kirill qualcosa deve contare.
Altrimenti non si spiegherebbe perché Papa Francesco, sempre attento nel consigliare morigeratezza e parsimonia, non abbia mai rinunciato ad un dialogo e ad un confronto con il Patriarca che regge le fila della cristianità russa. Un Patriarca che le sanzioni di Bruxelles ben difficilmente potranno affondare.
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