Pure gli imprenditori del Sud vogliono il Ponte sullo Stretto

Sì unanime dalla Confindustria di Sicilia e Calabria: "Il governo decida: non possiamo restare ancora isolati"

Pure gli imprenditori del Sud vogliono il Ponte sullo Stretto

Un sì all'unanimità al Ponte. È quello che proviene dagli imprenditori di Sicilia e Calabria dopo che la realizzazione dell'importante infrastruttura è tornata d'attualità. Un'opera attesa da tempo che finora è rimasta nel limbo delle incompiute. L'atarassia del presidente di Sicindustria (la più importante territoriale sicula che rappresenta anche Palermo e Messina, ndr), Gregory Bongiorno si spiega così. «Nel 1981 quando è stata fondata Stretto di Messina spa (la società concessionaria posta in liquidazione nel 2013; ndr) avevo 6 anni e si parlava del Ponte come imminente, oggi ne ho 47 e non s'è fatto. In questi anni s'è fatto di tutto inclusa la gara indetta dal governo Berlusconi. Poi, tutto s'è bloccato e quindi siamo scoraggiati», spiega al Giornale sottolineando che «l'importante è che si vada avanti».

Bongiorno è, tuttavia, preoccupato dal fatto che il nuovo studio di fattibilità annunciato dal ministro delle Infrastrutture Giovannini sia di là dall'essere avviato. «Il ministro aveva assicurato che si sarebbe partiti questa primavera e ora siamo in estate», aggiunge lanciando una provocazione. «Sette Paesi europei tra i quali Finlandia, Svezia e Germania ritengono il Ponte prioritario per il completamento del corridoio Helsinki-La Valletta e se lo dicono i Paesi del Nord Europa che quando si prefiggono un obiettivo lo raggiungono, allora questa potrebbe essere davvero la volta buona...».

Il presidente di Unindustria Calabria (la territoriale che riunisce le Confindustrie delle cinque province calabresi, ndr), Aldo Ferrara, entra nello specifico. «Dal 2020 con Sicindustria abbiamo portato avanti il tema», afferma. «Bisogna dire una volta per tutte se si fa o meno con serenità e senza pregiudizi». Se il sistema confindustriale è convinto della sua necessità, lo stesso non si può dire del Palazzo. Ma ora non si può più tergiversare. «Sono stati spesi 968 milioni tra studi di fattibilità e piani finanziari. È un'opera lunga 3,3 chilometri, ci sono ponti più lunghi in Giappone, Cina e Danimarca, in aree anche a maggiore sismicità», rimarca Ferrara.

Il costo del «non fare», però, è di gran lunga superiore. Il Ponte sullo Stretto, argomenta il presidente di Unindustria, «creerebbe una grande macroregione tra Calabria e Sicilia: 600mila imprese, 60 miliardi di fatturato e 900mila lavoratori e rappresenterebbe un grande upgrade di sviluppo». I benefici sarebbero immediatamente evidenti: la costruzione creerebbe 100mila posti di lavoro diretti e nell'indotto, cioè 100mila lavoratori generando valore aggiunto per 6 miliardi tra servizi e beni intermedi. «In fase di esercizio migliorerebbe la logistica, la produttività e la competitività delle imprese del territorio creando una grande opera sia sotto il profilo simbolico che turistico», evidenzia Ferrara.

Cosa serve ora? «Definire una road map per il Ponte perché non se ne può più di questo gioco dell'oca

continuo», osserva Bongiorno. Ferrara, invece, aspetta la decisione della politica. «Alcuni partiti che hanno posizioni ideologiche hanno sempre frenato il Ponte, ora si vedrà se le infrastrutture sono una priorità», conclude.

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