Non è stato ammesso il ricorso dei genitori. È ormai questione di ore, per l'attuazione del via libera a staccare la spina ad Archie Battersbee, il 12enne inglese in coma da mesi al London Royal Hospital dopo essere stato trovato privo di conoscenza in casa il 7 aprile forse a causa di una sfida sul web. L'ultimo tentativo dei genitori di ottenere una proroga è caduto nel vuoto ieri sera a Strasburgo, dove secondo Sky News la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è dichiarata incompetente a intervenire, rifiutandosi di «interferire» con quanto stabilito dalla giustizia britannica. Resta dunque valida l'autorizzazione a interrompere la ventilazione assistita e i trattamenti che tengono in vita il bambino: autorizzazione concessa in tre gradi di giudizio dalle corti del Regno ai medici (secondo cui una diagnosi di morte delle cellule cerebrali va considerata «altamente probabile»), contro la disperata opposizione di mamma Hollie e papà Paul.
«Potremmo andare in Giappone, in Italia» aveva sperato la mamma di Archie non volendo gettare la spugna, promettendo di lottare fino alla fine per il diritto alla vita di suo figlio. Aveva assicurato che in Italia le avevano già offerto aiuto. Da settimane la Gran Bretagna seguiva con il fiato sospeso la sorte del piccolo Archie Battersbee. Per i medici Archie è in stato di morte cerebrale e occorre staccare la spina, ma davanti all'opposizione dei genitori si è aperta una serie di sentenze da parte dei tribunali britannici. Ognuno ha scandito una sentenza diversa. Ma, sostanzialmente, avevano stabilito che fosse «nel miglior interesse» del ragazzino che le cure venissero sospese. Lunedì una Corte d'Appello ha respinto il rinvio oltre martedì della sospensione del supporto vitale: il governo aveva chiesto alla corte di valutare la richiesta al Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità di mantenere i meccanismi di respirazione assistita e alimentazione forzata in attesa della valutazione del loro caso.
Ma un giudice aveva sostenuto che la Carta dei Diritti su cui si basa il Comitato «non fa parte della legge del Regno Unito». La madre aveva fatto un ultimo, disperato tentativo: aveva presentato una richiesta al tribunale europeo per i diritti umani per impedire ai medici di sospendere le cure.
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