L'accordo prevedeva un anno di carcere. Ma dieci mesi scarsi possono bastare: Antonio Panzeri, protagonista numero uno del Qatargate, è di nuovo libero. La magistratura belga ha fissato un paio di paletti: non lasciare il Paese, non parlare con alcuni degli indagati. Briciole rispetto al quadro catastrofico che si era delineato il 9 dicembre scorso, quando lo scandalo era esploso fragorosamente rompendo la quiete ovattata di Bruxelles e del Parlamento europeo.
Quel giorno viene ammanettato Panzeri, ormai ex eurodeputato ma a capo di una ong assai influente, Fight Impunity, e con lui viene fermata fra gli altri una coppia a lui vicina: lui, Francesco Giorgi, è il suo ex assistente, lei, Eva Kaili, è addirittura la vicepresidente del Parlamento europeo.
È uno shock perché si scopre una fitta rete di tangenti, o presunte tali, che sarebbero state distribuite dai governi dii Qatar, Marocco e Mauritania per addolcire la propria immagine. Nel caos di quelle ore, il padre della Kaili viene bloccato mentre lascia precipitosamente un hotel di lusso sella capitale belga spingendo un trolley in cui sono stipati 600 mila euro in contanti. A Panzeri vengono sequestrati, in cassaforte, altri, 600 mila euro. E mazzette spuntano come funghi, qua e là, mentre si diffondono voci di altri imminenti arresti e si immagina in prospettiva un terremoto politico che colpisce soprattutto la sinistra.
Panzeri è una colonna portante della sinistra ambrosiana: è stato segretario della Camera del lavoro, poi eurodeputato e infine lobbista; abbandonato il Pd era approdato ad Articolo 1. I reati contestati sono pesantissimi, dal riciclaggio alla corruzione internazionale, e nella rete degli inquirenti finiscono anche la consorte, Maria Colleoni, e la figlia Silvia.
Qualcuno parla di una Mani pulite europea e il giudice istruttore Michel Claise diventa in qualche modo una celebrità.
Poi, dopo la partenza a razzo, qualcosa si inceppa: Kaili continua a protestare la propria innocenza, ripete che quei soldi non sono suoi, fa sapere che le impediscono di vedere la figlia di soli due anni.
Affiorano anche dubbi sulla gestione dell'intera vicenda: ci sono sì i soldi, tanti, in contanti e chiusi nei sacchi, ma ci deve essere anche lo zampino dei Servizi di diversi paesi che hanno pedinato, fotografato, incrociato dati. E poi ci sono condizioni di detenzione assai dure e procedure che gli avvocati non giudicano cristalline.
In ogni caso, l'indagine si estende, tocca un pugno di eurodeputati, ma non decolla e siamo lontani, almeno finora, dalle scosse e dalle retate profetizzate da alcuni giornali. Panzeri intanto ha fatto le sue scelte: ha ammesso quel che non poteva non ammettere, ha chiamato in causa alcuni ex colleghi, come Andrea Cozzolino - che nega e replica secco: «Panzeri dice falsità» - alla fine ha patteggiato una pena di un anno che, a questo punto, è di fatto già scontata. Presto, rivedrà moglie e figlia che non sono state consegnate alla magistratura belga e ora sono in Italia, in attesa di essere ascoltate dai giudici.
Ma tutto il Qatargate rischia di finire in una bolla di sapone, o poco più: il giudice Claise è costretto ad abbandonare l'indagine per un potenziale conflitto di interesse. Il figlio e quello dell'eurodeputata Maria Arena, sfiorata dall'indagine, erano tutti e due azionisti in una società che vende cannabis legale. Un altro pasticcio in una storia sempre meno limpida.
Il 14 maggio il tema verrà affrontato in udienza, ma è probabile che un verdetto, in un senso o nell'altro, arrivi più in là. Forse, dopo le elezioni europee di giugno.
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