Quando ieri si doveva scrivere un commento sui primi vent'anni dell'euro, il primo pensiero che abbiamo avuto è stato quello di «chiamare Forte»: chi meglio di lui, professore di Scienza delle Finanze, ex ministro, senatore e deputato, poteva risolvere la questione in 50 righe. Nessuno. E non solo tra i nostri editorialisti. Ma non abbiamo fatto in tempo a finire la nostra riunione che è arrivata la brutta notizia, giunta da Torino qualche ora prima che si diffondesse sul web. Chi scrive, chi segue per il Giornale politica ed economia, parlava con il professore quasi tutti i giorni. Puntuale, di mattina, arrivava almeno una sua email, con una o più proposte per un commento di taglio prevalentemente economico. Ma non solo. La sua curiosità non era certo calata con l'avanzare degli anni. Per il Giornale scriveva dal 2009. E se per avventura la sua firma restava fuori dalle pagine per più di una decina di giorni, il professore chiamava per chiedere se ci fosse qualcosa che non andava. Nonostante i suoi 92 anni, o il covid, Forte si organizzava per venire in redazione - vuoi da Torino dove risiedeva, vuoi da Rapallo - nel giro di poche ore, perché il piacere di una chiacchierata de visu su quanto il pensiero di Einaudi fosse di attualità lo attirava sempre. E colpiva, in un uomo di tanta conoscenza, cultura ed esperienza, la capacità di ascoltare, capire e ribattere sempre e comunque e con chiunque. Quell'umiltà che è l'inconfondibile marchio dei grandi uomini. Così ci si poteva perdere per lunghi quarti d'ora, al telefono, nel mettere a punto il taglio di un certo commento. E quando, alla fine della conversazione, gli si diceva quanto lungo doveva essere, in righe o in «battute», il professore se lo faceva ripetere almeno un'altra volta. Per essere sicuro di aver capito bene. E per dare la sicurezza, a noi che poi avremmo passato il pezzo verso le nove di sera, di non ricevere mai brutte sorprese. Una sicurezza su cui poter scommettere sempre. Dal presente al passato remoto, ogni conversazione con Francesco Forte assumeva il carattere di una lezione affascinante come una fiction. Non c'era personaggio dell'attualità con cui non avesse avuto rapporti diretti, spesso in condizioni di superiorità per ruoli ricoperti nella sua carriera politica e accademica, al di là dell'anagrafe. Gli chiedevi di Mario Draghi e di Mario Monti e lui te li inquadrava subito con aneddoti vissuti in prima persona ai massimi livelli universitari. Il professor Forte non solo era un protagonista diretto della seconda parte del Novecento, ma fino all'ultimo è stato un analista formidabile dalla cultura sconfinata, sempre agganciato ai temi e ai personaggi dell'attualità senza mai rifugiarsi nei ricordi del reduce. Era una tentazione irresistibile chiedergli i retroscena di scelte politiche storiche, da lui vissute in Parlamento o nella stanza dei bottoni dei Consigli dei ministri. Il feeling con Craxi, il rispetto di Fanfani, l'ironia con cui con un paio di esempi gustosi svelava le ragioni di aspri conflitti politici e inimicizie acerrime tra i big, spesso motivati da banali ragioni personali o sentimentali. Come tecnico o rappresentante del popolo, ha lavorato a stretto contatto dei fondatori della Repubblica, prima da socialista doc, poi come liberale. Chiusa l'era di Craxi, ha collaborato con Berlusconi e lo stato maggiore di Forza Italia nella stesura di piani fiscali basati su incentivi e detassazioni. Quasi cinque anni fa pianse senza pudore al telefono per la morte della moglie Carmen. Già vicino ai 90 anni, la celebrò sui social con uno struggente post di straordinaria intensità che commosse l'Italia.
Fu quella l'occasione per presentare i personaggi chiave della sua famiglia, dal figlio Stefano, fisico di riconosciuta genialità, alla nipotina Benedetta che lo inorgogliva per la precoce intelligenza e il curriculum scolastico straordinario. Forte in tutto, anche come nonno.
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